00 25/06/2010 17:44
CHIUSO PER RESTAURO :)
L’OLANDA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Writted by Konstantinos XI, based on a Uchrony of Falecius (UtopiaUcronia)




Capitolo I: La Grande Guerra

1914

28 Giugno - Gavrilo Princip, membro dell’associazione terroristica serba Crna Ruka assassina il principe ereditario d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este nel corso della sua visita di Stato a Sarajevo.
Le reazioni nel resto d'Europa sono abbastanza tiepide nella maggior parte dei casi. Il presidente francese Raymond Poincaré, raggiunto dalla notizia, non rinuncia alle corse di cavalli alle quali sta assistendo. In Austria, le idee federaliste dell'Arciduca provocano addirittura sollievo in alcuni ambienti. A Londra, i mercati azionari aprirono al ribasso per poi recuperare alla constatazione che le altre borse europee tengono bene. L'ambasciatore britannico a Roma riferisce che la stampa italiana ha "ufficialmente" condannato il crimine ma «la gente ha considerato quasi provvidenziale l'eliminazione del compianto arciduca». Tuttavia l'indignazione per l'accaduto e i timori di una cospirazione serba ispirano violente manifestazioni anti-serbe a Vienna e Brno. Da Budapest il console generale britannico rifersce: « Un'ondata di odio contro la Serbia si è abbattuta sul paese.»
Nei giorni successivi la tensione va aumentando: il ministro degli esteri austriaco Leopold Berchtold e il Capo di Stato Maggiore Conrad von Hötzendorf vedono nell'attentato l'occasione per ridimensionare la minaccia costituita dal Regno di Serbia. Non hanno però ancora ben chiaro se annetterla tutta, in parte, oppure sconfiggerla con le armi ed esigere, anziché territori, un forte indennizzo. Francesco Giuseppe è invece titubante e teme che l'attacco austriaco autorizzi il coinvolgimento di altre potenze, in particolare la Russia, la quale si sentirebbe costretta, in nome del panslavismo, ad accorrere in aiuto della Serbia. Altrettanto esitante è il Primo Ministro ungherese István Tisza sul quale, Il 1º luglio, Conrad annotò:
« Tisza è contrario alla guerra con la Serbia; è preoccupato, teme che la Russia ci attacchi e la Germania ci pianti in asso»
Il Kaiser Guglielmo II ha una reazione inizialmente bellicosa e ritornato a Berlino da Kiel, dove aveva ricevuto la notizia dell'assassinio mentre era impegnato in una regata velica, scrive a margine di un telegramma inviatogli il 30 giugno: « Bisogna sistemare una volta per tutte i serbi, e subito!»
5 luglio - L'inviato del Ministro degli Esteri austriaco Leopold Berchtold, il Conte Alexander Hoyos, incontra a Berlino il Sottosegretario agli Esteri tedesco Arthur Zimmermann. In questa occasione Hoyos parla espressamente di guerra, di eliminare la Serbia dalla carta geografica e di dividerne le spoglie fra i paesi confinanti. Le sue tesi sono accolte con molta attenzione.
A Potsdam l'ambasciatore austriaco presso Berlino, Ladislaus von Szögyény-Marich, consegna a Guglielmo II dei documenti ricevuti da Hoyos. Si tratta di due atti: un memoriale del Primo Ministro d'Ungheria István Tisza, scritto prima del 28 giugno e dal contenuto moderato, ma al quale Berchtold aveva aggiunto un poscritto molto aggressivo nei confronti della Serbia; ed una dura lettera autografa di Francesco Giuseppe che, rivolgendosi direttamente a Guglielmo II, auspicava l'eliminazione della Serbia «come fattore politico dai Balcani».
Durante la fase iniziale di quest'ultimo incontro, Guglielmo non si sbilancia, ma dopo colazione, su insistenza dell'ambasciatore austriaco a prendere posizione, dichiara che non si dovrà differire un'azione contro la Serbia, nonostante la prevedibile ostilità della Russia. Ed anche se si arrivasse ad una guerra fra Austria e Russia, la Germania si schiererà al fianco dell'alleato. Aggiunge, tuttavia, che la Russia non è pronta ad una guerra ed esiterà di certo molto prima di ricorrere alle armi. Per questo bisogna agire subito.
Il giorno dopo, il 6 luglio, questa viene annunciata come la versione ufficiale della Germania: l'Austria deve battere rapidamente la Serbia in modo da mettere l'Europa di fronte al fatto compiuto. Fra i componenti dell'esecutivo austro-ungarico, l'orientamento prevalente è favorevole ad un intervento militare e ad un ridimensionamento territoriale della Serbia, che verrebbe posta sotto controllo dell'Austria. L'unico a protestare è István Tisza, che il giorno successivo invia una lettera all'Imperatore precisando che un intervento contro la Serbia potrebbe provocare una guerra mondiale e potrebbe spingere non solo la Russia, ma anche la Romania a schierarsi contro l'Austria. Secondo Tisza, Vienna dovrebbe invece preparare un elenco di richieste accettabili che, se non venissero soddisfatte dalla Serbia, porterebbero ad un ultimatum. Tisza ha potere di veto e si mantiene sulla sua posizione per una settimana. Poi, nel timore che la Germania possa abbandonare l'Austria, accetta l'idea intermedia di un ultimatum subito.
A Londra Sir Arthur Nicolson, consigliere del Ministro degli Esteri Edward Grey, il 9 luglio invia una comunicazione all'ambasciatore britannico a Vienna Maurice de Bunsen, nella quale dubita di un eventuale intervento austriaco. Fuori dall'Austria-Ungheria, poiché alla Serbia non è stato consegnato ancora un ultimatum, la sensazione dell'imminenza di una crisi si sta infatti attenuando.
14 luglio - Il Capo di Stato Maggiore austriaco Franz Conrad von Hötzendorf si dichiara contrario ad un'azione militare prima del 25 (data di scadenza di un congedo generale che era stato concesso per provvedere al raccolto agricolo), anche perché un annullamento del congedo non risultava fattibile in quanto smaschererebbe le intenzioni di Vienna.
Ma è comunque ormai troppo tardi per lanciare un attacco austriaco a sorpresa e la diplomazia tedesca si muove per localizzare il futuro conflitto.
19 luglio - Il Ministro degli Esteri di Berlino, Gottlieb von Jagow, fa pubblicare sul giornale Norddeutsche Allgemeine Zeitung una sua nota in cui ammonisce: « La composizione della disparità di vedute che potrebbero sorgere fra Austria-Ungheria e Serbia deve restare una faccenda di carattere locale.»
Tre giorni dopo, dichiarazioni ufficiali sulla posizione della Germania in merito vengono inviate a Russia, Gran Bretagna e Francia.
Le condizioni dell'ultimatum vengono definite a Vienna lo stesso giorno: tutti i presenti alla seduta del Consiglio dei Ministri austriaco, compreso il Generale Conrad, sono consapevoli che la Serbia respingerà le condizioni e che il passo successivo sarà un attacco militare.
In Francia il Presidente della Repubblica Poincaré ed il suo Presidente del Consiglio René Viviani partono per un viaggio in Russia. I capi delle due potenze alleate si incontrano il 21.
Ottenute le informazioni sul ritorno a Parigi della delegazione francese, Berchtold programma di presentare l'ultimatum alla Serbia il 23 luglio, con scadenza il 25 luglio, in modo da anticipare eventuali mosse congiunte russo-francesi.
21 luglio - Francesco Giuseppe dà il proprio assenso alle condizioni dell'ultimatum, il giorno seguente il Ministro degli Esteri russo, Sergej Dmitrievič Sazonov, comincia a mettere in guardia l'Austria dal prendere misure drastiche, anche se il monito non accenna a conseguenze militari.
23 Luglio - David Lloyd George annuncia alla Camera dei Comuni che non ci saranno problemi tra le nazioni a regolare le difficoltà attraverso «qualche sana e ben congegnata forma di arbitrato».
Ottenuto anche il consenso di Francesco Giuseppe, nel pomeriggio l'ambasciatore austriaco a Belgrado, il Barone Wladimir Giesl Freiherr von Gieslingen, consegna al governo serbo l'ultimatum dell'Austria e rimane in attesa della risposta che dovrà arrivare non oltre le 18:00 del 25 luglio.
Quando il testo dell'ultimatum si diffonde, fra i governi d'Europa si hanno varie reazioni: a Londra il Ministro degli Esteri Edward Grey, dopo aver letto l'ultimatum austriaco lo definisce « il documento più duro che uno Stato abbia mai indirizzato ad un altro Stato» e chiede il sostegno tedesco per un rinvio dei termini proponendo che Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia facciano da mediatori della crisi. Azione analoga viene intrapresa dal Ministro degli Esteri russo Sergej Dmitrievič Sazonov, il cui ambasciatore a Vienna riceve l'assicurazione da Berchtold che l'Austria-Ungheria non si propone «alcuna acquisizione territoriale».
Come calcolato, la Francia non può reagire adeguatamente all'ultimatum: il presidente Poincaré ed il Primo Ministro nonché Ministro degli Esteri René Viviani erano infatti ancora in navigazione nel viaggio di ritorno da San Pietroburgo.
Il reggente di Serbia Alessandro Karađorđević (figlio di re Pietro I di Serbia che aveva abbandonato il potere per motivi di salute) si presenta a tarda sera all'ambasciata russa a Belgrado «ad esprimere la sua disperazione per l'ultimatum, al quale egli non vede possibilità di aderire interamente per uno Stato che abbia un minimo di dignità».
24 Luglio - Il ministro Sazonov, d'accordo affinché la Serbia non ceda in tutto ma non ancora pronto alla guerra, al mattino, dopo la riunione del Consiglio dei ministri, telegrafa al suo ambasciatore a Belgrado: « [...] Varrà forse meglio che, in caso di un'invasione austriaca, i serbi non tentino di opporre resistenza, ma ripieghino, lasciando che il nemico occupi il suo territorio, e rivolgano un appello alle potenze [...] »
In previsione del precipitare degli eventi, Berchtold fa comunicare quella sera al Ministro degli Esteri britannico Edward Grey che la nota austriaca non costituisce un ultimatum vero e proprio e che in caso di insoddisfazione dell'Austria-Ungheria alla risposta serba, non ci sarà che la rottura delle relazioni diplomatiche e l'inizio dei preparativi militari.
Lo stesso giorno viene preparato anche un messaggio per San Pietroburgo (inviato il 25 luglio con un corriere) in cui il governo austriaco spiega come il procedimento non fosse spinto da motivi egoistici: « [...] Se la lotta con la Serbia ci è imposta, non sarà per noi una lotta in vista di annessioni territoriali, ma esclusivamente un mezzo di legittima difesa e di conservazione.»
Venuta a conoscenza delle intenzioni dilatorie di Berchtold, la Germania richiama l'ambasciatore austriaco.
Il Primo Ministro serbo Nikola Pašić ed i suoi colleghi lavorarono giorno e notte, indecisi tra l'accettazione passiva dell'ultimatum e la tentazione di aggiungere condizioni o riserve che possano consentire di sfuggire alle richieste di Vienna. Il documento finale, a causa di un guasto alla macchina da scrivere, viene compilato a mano.
25 Luglio - Szögyény-Marich, tornato a Vienna, riferisce a Berchtold che ad un rifiuto dell'ultimatum della Serbia la Germania si aspetta l'immediata dichiarazione di guerra dell'Austria e l'inizio delle operazioni militari, poiché ad ogni ritardo dell'inizio delle ostilità si ravvisa il grave pericolo di ingerenza di altre potenze.
Alle ore 15 la Serbia ordina la mobilitazione dell'esercito e tre ore dopo, alle 18 meno due minuti (quindi a due minuti dalla scadenza dell'ultimatum), il Primo ministro Pašić consegna la risposta serba all'ambasciatore austriaco, von Gieslingen, dicendo: « Abbiamo accettato parte delle domande... Per il resto ci rimettiamo alla lealtà ed alla cavalleria del Generale austriaco.»
Gieslingen legge da solo ed in fretta il documento e, constatato che non risponde alle esigenze fissate da Berchtold, firma la nota già preparata per l'evenienza e la fa recapitare a Pašić. Nella nota si dice che, essendo spirato il termine delle richieste consegnate al governo serbo e non avendo ricevuto una risposta soddisfacente, egli abbandonava Belgrado quella sera stessa con tutto il personale della legazione.
Quello stesso giorno, al diffondersi della notizia della rottura delle trattative fra Austria e Serbia, a San Pietroburgo lo Stato Maggiore russo avvia il "periodo di preparazione alla guerra" (primo passo per la mobilitazione) ed a Parigi il governo francese richiama segretamente in servizio i propri generali. Più distesa l'atmosfera a Londra.
26 Luglio - Un agente segreto olandese inviato a Coblenza per monitorare lo sviluppo della crisi europea viene arrestato e rimpatriato. L’ operazione di intelligence da cui dipendeva, e che aveva forti oppositori nelle alte sfere olandesi, viene annullata.

Nonostante la crisi internazionale il Ministro degli Esteri britannico Edward Grey trascorre il week-end in campagna. A Londra, il sottosegretario Sir Arthur Nicolson telegrafa al ministro per suggerirgli di proporre alle potenze una conferenza durante la quale Austria, Serbia e Russia non dovranno intraprendere operazioni militari. Grey si affretta a telegrafare la sua adesione all'idea di Nicolson alla quale viene data esecuzione alle 15 con un telegramma diretto agli ambasciatori inglesi presso le grandi potenze e la Serbia. Nel telegramma si propone una conferenza a Londra tra i rappresentanti di Parigi, Roma e Berlino, con Grey per la Gran Bretagna, allo scopo di «trovare il modo di impedire complicazioni». Il giorno dopo, tuttavia, il Ministero della Guerra britannico dà istruzioni al generale Smith-Dorrien di presidiare «tutti i punti vulnerabili» nel sud del paese.
Le risposte alla proposta inglese sono piuttosto fredde: il Cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg, temendo una sconfitta diplomatica, non intende aderire. La Germania non sarebbe riuscita ad ottenere quello che desiderava, e cioè l'assenso ad un attacco alla Serbia che riabilitasse il prestigio austriaco. L'Italia aderisce invece alla proposta, mentre la Francia tentenna fra il compiacere l'ambasciatore tedesco e l'agire direttamente sulla Russia una volta stabilita l'intenzione dell'Austria-Ungheria a non effettuare annessioni. San Pietroburgo prende tempo, date le speranze di Sazonov di venire direttamente con l'Austria ad un'intesa amichevole. In buona sostanza la proposta di Grey fallisce ma allarma la Germania per la piega moderata che può prendere la crisi.
Dopo la rottura delle relazioni diplomatiche fra Austria-Ungheria e Regno di Serbia, il governo tedesco, coerentemente con quanto stabilito il giorno prima, reclama d'urgenza presso l'Austria «la dichiarazione di guerra e l'inizio delle operazioni militari». Ciò allo scopo di scongiurare pressioni in senso contrario: bisognava cioè evitare che la crisi venisse risolta prima che le forze austriache fossero riuscite a occupare Belgrado.


(INIZIO UCRONIA)

28 Luglio - Nonostante il parere negativo del Capo di Stato Maggiore Conrad, il governo austriaco ordina la mobilitazione parziale, esclusivamente diretta contro la Serbia; mentre il Kaiser Guglielmo II, in contrasto con quanto stabilito dal suo governo, si dichiara disposto a fare da mediatore fra Austria e Serbia dichiarando che non c'è più alcun motivo, dopo la risposta di Belgrado all'ultimatum di Vienna, di far scoppiare una guerra. Guglielmo II ha infatti definito la replica serba una «capitolazione oltremodo umiliante», occorre però, per costringere la Serbia a rispettare le promesse contenute nella risposta all'ultimatum, che l'Austria occupi temporaneamente Belgrado (che si trova subito al di là del confine) e nulla più. Tali istruzioni del Kaiser al suo ministro degli esteri Jagow non influiscono però sulla condotta dei diplomatici tedeschi a Vienna.
Risoluto ormai ad entrare in guerra al più presto, il governo austriaco si trova nella necessità di chiedere l'autorizzazione a Francesco Giuseppe. In un'istanza di Leopold Berchtold all'Imperatore del 27 luglio, si osserva che la risposta serba, per quanto inutile nella sostanza, è stata redatta in modo conciliante e può suggerire all'Europa tentativi di soluzione pacifica se non si creasse subito una situazione netta. Nel documento si finge anche la circostanza che truppe serbe da piroscafi sul Danubio abbiano sparato su truppe austro-ungariche, ed occorre dare all'esercito quella libertà d'azione che potrebbe avere solo in caso di guerra.
Francesco Giuseppe accoglie l'istanza di Berchtold e, alle ore 12, un telegramma con la dichiarazione di guerra parte per Belgrado. L'Austria dichiara ufficialmente guerra alla Serbia.
Appresa la sera stessa la dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria alla Serbia, il Ministro degli Esteri russo Sergej Dmitrievič Sazonov comunica alla sua ambasciata a Berlino che il giorno dopo il governo dello Zar avrebbe ordinato la mobilitazione nei distretti di Odessa, Kiev, Mosca e Kazan', cioè contro l'Austria.
29 Luglio - Mentre l'artiglieria austriaca tiene sotto tiro le fortificazioni serbe lungo la frontiera, pronta ad aprire il fuoco in qualsiasi momento, al mattino la Russia chiama alle armi una parte della sua enorme riserva di uomini: lo Zar Nicola II non dichiara guerra all'Austria, ma si limita a ordinare una mobilitazione parziale di quasi sei milioni di uomini.
L'ambasciatore tedesco a San Pietroburgo, Friedrich Pourtalès, richiama "molto seriamente" l'attenzione di Sazonov sul fatto che la continuazione delle misure di mobilitazione russa obbligherebbero la Germania alla mobilitazione e che in questo caso sarà quasi impossibile impedire una guerra europea.
Contemporaneamente, a Potsdam, si tiene una riunione fra Guglielmo II ed alcuni suoi alti ufficiali e funzionari. Ancora ignari della mobilitazione parziale russa, essi discutono sulla situazione ed il Kaiser rifiuta una proposta del Cancelliere Bethmann di offrire forti limitazioni della flotta tedesca in cambio della promessa di neutralità della Gran Bretagna. Rientrato nel suo ufficio, piuttosto avvilito, Bethmann trova anche la notizia della mobilitazione russa.
Ad aggravare la posizione del Cancelliere, la stessa sera, giunge a Berlino un telegramma dell'ambasciatore tedesco a Londra, Karl Max von Lichnowsky. Costui informa che il ministro Edward Grey ha affermato che se la Francia fosse stata coinvolta nella guerra, la Gran Bretagna non sarebbe rimasta neutrale.
A questo punto il Cancelliere si rende conto che il gioco sta diventando troppo pericoloso e, coerentemente con il volere di Guglielmo II, telegrafa al suo ambasciatore in Austria nella notte ordinandogli, praticamente, un dietro front: « Noi siamo pronti ad adempiere ai nostri obblighi di alleanza, ma dobbiamo rifiutare di lasciarci trascinare da Vienna, con leggerezza e senza che i nostri consigli siano ascoltati, in una conflagrazione generale.»
La mobilitazione generale russa, ordine che lo Zar Nicola II aveva firmato assieme a quello della mobilitazione parziale, non era ancora operativa, ma si attiva quando si diffonde la notizia a San Pietroburgo del bombardamento austriaco di Belgrado effettuato lo stesso giorno dai pontoni sul Danubio. Lo Zar, spaventato da un conflitto con la Germania, si appella direttamente al Kaiser telegrafandogli: «[...] ti prego in nome della nostra antica amicizia, di fare il possibile per impedire ai vostri alleati di oltrepassare il limite». Il telegramma si incrocia con un altro telegramma inviato dal Kaiser allo Zar: «[...] sto esercitando tutta la mia influenza per indurre gli austriaci a trattare immediatamente per arrivare ad un'intesa soddisfacente con voi».
Nel tardo pomeriggio, confortato dal telegramma del Kaiser, Nicola II invia ai capi di stato maggiore l'ordine di evitare la mobilitazione generale e di dare corso soltanto a quella parziale. Successivamente lo Zar riceve un altro telegramma di Guglielmo II che invita la Russia a restare "spettatrice del conflitto austro-serbo" e nel quale si offre come mediatore fra Russia e Austria.
Ciò convince lo Zar, che alle 21:30 dà ordine di sospendere la mobilitazione parziale, ma il capo di stato maggiore Januškevič lo avverte che ormai è troppo tardi per fare marcia indietro poiché il meccanismo era già in moto in tutto l'impero.
30 Luglio - Guglielmo II non riesce a dissuadere il suo Stato Maggiore dal rispondere alla mobilitazione parziale della Russia con misura analoga e grazie ad un avvicinamento delle posizioni di militari e civili, che avviene tra il pomeriggio e la sera verso i mezzi estremi, la Germania si avvia a proclamare lo "stato di pericolo di guerra" (Kriegsgefahrzustand).
A San Pietroburgo, allorché giunge voce che la Germania è in pre-mobilitazione, lo Zar riceve pesanti pressioni dal Ministro della Guerra Vladimir Aleksandrovič Suchomlinov e dal ministro Sazonov affinché firmi l'ordine di mobilitazione generale. Nicola II esita fin quando, convintosi della minaccia di un imminente attacco tedesco, si decide ed ordina al Ministro degli Esteri: «Voi avete ragione. Non ci resta altro da fare che prepararci contro un'aggressione. Trasmettete al capo di Stato Maggiore Generale i miei ordini di mobilitazione.»
Alle ore 16 lo Zar firma l'ordine di mobilitazione generale, da attivarsi per il giorno dopo.
31 Luglio - La notizia della mobilitazione generale russa fa il gioco del Capo di Stato Maggiore tedesco von Moltke, che vince ogni possibile esitazione di Bethmann-Hollweg e Guglielmo II.
Bethmann comunica a Londra, San Pietroburgo, Parigi e Roma che la Germania annuncia il Kriegsgefahrzustand (emergenza militare) ed aggiunge che la mobilitazione tedesca verrà revocata solo se la Russia revocherà la sua. Ma all'ambasciatore a Vienna Heinrich von Tschirschky telegrafa: «Dopo la mobilitazione generale russa noi abbiamo proclamato lo "stato di pericolo di guerra"; probabilmente la mobilitazione seguirà entro quarantott'ore. Essa significherà inevitabilmente la guerra. Noi attendiamo dall'Austria una partecipazione attiva immediata alla guerra contro la Russia.»

Il telegramma per l'ambasciatore tedesco a San Pietroburgo, Pourtalès, contenente l'ultimatum alla Russia parte da Berlino alle 15:30 e, redatto da Bethmann in persona,così dice:
« Malgrado i negoziati ancora in corso e sebbene [...] non avessimo presa alcuna misura di mobilitazione, la Russia ha mobilitato tutto il suo esercito e la sua flotta; ha dunque mobilitato anche contro di noi. Queste misure russe ci hanno costretti, per garantire la sicurezza dell'Impero, a dichiarare lo "stato di pericolo di guerra", che non significa ancora la mobilitazione. Ma la mobilitazione deve seguire se entro dodici ore la Russia non sospende ogni misura di guerra contro di noi e contro l'Austria-Ungheria e non ci fa una dichiarazione precisa in questo senso. La prego di comunicare ciò immediatamente a Sazonov e di telegrafare l'ora della comunicazione. So che Sverbejev ha telegrafato ieri a Pietroburgo che noi avevamo già mobilitato, ma non è vero, nemmeno all'ora attuale.»
Il telegramma di Bethmann arriva a San Pietroburgo solo alle 21:30 e, intorno alla mezzanotte, l'ambasciatore tedesco Pourtalès si reca dal ministro Sazonov per consegnargli l'ultimatum della Germania. Sazonov replica dicendo che ragioni tecniche impediscono di revocare la mobilitazione ma, aggiunge, che ciò non implica la guerra ed i negoziati possono continuare. Chiede poi a Pourtalès se la mobilitazione tedesca avesse, invece, portato inevitabilmente alla guerra. Al che l'ambasciatore risponde: «ci troveremmo a due dita dalla guerra». Questa affermazione, che lascia anche un minimo di speranza di pace dopo l'ordine di mobilitazione tedesca, illude Sazonov di avere ancora un piccolo margine di manovra; ciò non è vero, dato che le procedure della mobilitazione tedesca prevedono, una volta avviate, necessariamente la guerra. Probabilmente neanche Pourtalès si rende conto che il documento che aveva appena consegnato a Sazonov è un ultimatum vero e proprio.
Il motivo per cui Bethmann non chiarisce nell'ultimatum alla Russia che la mobilitazione tedesca porterà alla guerra è spiegabile con il desiderio dello Stato Maggiore tedesco di non allarmare troppo i russi, dal momento che ciò accelererebbe i loro preparativi militari.
Contemporaneamente al telegramma per San Pietroburgo, da Berlino parte anche quello per l'ambasciatore tedesco a Parigi Wilhelm von Schoen. Il testo è pressoché simile a quello per l'ambasciatore in Russia ma si rivela più incisivo e chiaro quando precisa: « [...] La mobilitazione significa inevitabilmente la guerra. La prego di chiedere al governo francese se in una guerra tra la Germania e la Russia esso rimarrà neutrale. [...] La risposta a quest'ultima domanda ci deve essere nota qui domani alle 4 pomeridiane.»
L'ambasciatore tedesco Schoen si presenta al Ministero degli Esteri francese verso le 19 e, consegnato l'ultimatum con cui la Francia deve stabilire la sua eventuale, improbabilissima, neutralità, ne rende conto a Berlino in un telegramma che parte la sera. Schoen riferisce che il Presidente del Consiglio René Viviani gli ha detto di « non avere notizia alcuna di una mobilitazione russa » e, sulla questione della neutralità, di poter rispondere all'invito tedesco per le 13 del giorno dopo.
1 agosto - Alle 12:52, dopo 52 minuti dalla scadenza dell'ultimatum alla Russia, viene telegrafato da Berlino all'ambasciatore a San Pietroburgo Pourtalès il testo della dichiarazione di guerra. Il documento deve essere consegnato, in caso di risposta non soddisfacente, alle 17 ora dell'Europa centrale.
Alle 16, a Berlino, visto il silenzio del governo russo, il Ministro della Guerra Erich von Falkenhayn sollecita il cancelliere Bethmann a recarsi con lui dall'Imperatore per la firma dell'ordine di mobilitazione generale. Alle 17 il Kaiser firma l'ordine, dopo di che Falkenhayn esclama: «Dio benedica Vostra Maestà e le sue armi. Dio protegga la nostra Patria».
Alle 19, a San Pietroburgo, l'ambasciatore tedesco Pourtalès si reca dal ministro Sergej Dmitrievič Sazonov per avere notizie. Reca con sé la dichiarazione di guerra che gli è pervenuta solo alle 17:45 e che ha dovuto anche decifrare. Incontrato Sazonov, gli domanda se il governo russo sia pronto a dare una risposta soddisfacente all'ultimatum. Il Ministro degli Esteri risponde negativamente. Pourtalès allora gli ripete la domanda rilevando le gravi conseguenze che deriveranno dal non tener conto dell'ingiunzione tedesca. Sazonov risponde come prima. Allora, l'ambasciatore, traendo di tasca un foglio piegato, ripete per la terza volta con voce tremante la domanda. Sazonov risponde che non ha nulla da aggiungere. Profondamente sconvolto, Pourtalès aggiunge con visibile sforzo: «In questo caso sono incaricato dal mio governo di rimettervi la nota seguente», e con mano esitante tende la dichiarazione di guerra al ministro russo.
Dopo di che l'ambasciatore perde ogni dominio di sé e, avvicinandosi ad una finestra, scoppia in lacrime. Ricorda Sazonov nelle sue memorie:
«Malgrado la mia emozione, che riuscii a padroneggiare, mi sentii preso da una profonda pietà per lui, e ci abbracciammo prima che egli con passo malfermo abbandonasse il mio ufficio.»
A Parigi l'ambasciatore tedesco Schoen si reca da Viviani per conoscere la decisione riguardo all'ultimatum tedesco sull'eventuale neutralità francese, consegnato la sera prima. Disorientando il diplomatico tedesco, Viviani risponde: «La Francia si ispirerà ai suoi interessi» , né il Primo ministro francese si esprimerà più chiaramente dopo.
Nel pomeriggio, su pressante richiesta del Capo di Stato Maggiore francese Joseph Joffre e su disposizione del Consiglio dei ministri, alle 15:55, i telegrammi predisposti per l'occasione vengono consegnati e spediti in tutta la Francia. Essi recano l'ordine: «Il primo giorno di mobilitazione è domenica 2 agosto».
A Berlino, appena emanato l'ordine di mobilitazione generale tedesca, un messaggio da Londra (giunto poco più di un'ora prima) dell'ambasciatore tedesco Karl Max von Lichnowsky illude la Germania che, se non attaccherà la Francia, questa non si muoverà a difendere la Russia. Guglielmo II ed i suoi collaboratori sono euforici, la Germania avrebbe combattuto solo contro la Russia. Moltke, invece, si trova in difficoltà, perché i piani militari tedeschi prevedono solo una guerra con entrambe le potenze. Anzi, il Piano Schlieffen prevedeva innanzi tutto un attacco alla Francia, a causa dell'alleanza franco-russa stipulata nel 1894. Per scongiurare questa eventualità nel 1904 l'allora Capo di Stato Maggiore tedesco, Alfred von Schlieffen, ideò il piano omonimo atto a sconfiggere la Francia con una rapida guerra attraverso il Belgio per poi rivolgere tutte le forze contro la Russia, nel frattempo impegnata nella lenta e macchinosa mobilitazione. La Germania avrebbe così evitato una logorante e pericolosa guerra su due fronti.
Quando arriva la smentita da Re Giorgio V, nella quale si dice chiaramente che nessuno assicura la neutralità inglese né tanto meno quella francese, Moltke, sentito Guglielmo II, dirama l'ordine di invadere il Lussemburgo.
2 Agosto - Truppe tedesche invadono il Lussemburgo. L'intera marina britannica venne mobilitata e la Gran Bretagna fornisce anche rassicurazioni segrete alla Francia: se la flotta tedesca entrerà nel Mare del Nord o nella Manica per attaccare navi francesi, la flotta inglese fornirà «tutto l'appoggio possibile». Mobilitazione belga e francese. Il Kaiser invia un nota alla regina Wilhelmina d’Olanda ed al Re Alberto del Belgio richiedendo il libero passaggio delle forze tedesche.
Wilhelmina si consulta col suo capo di Stato Maggiore gen. Snijders, che ammette di non poter difendere efficacemente il paese e di temere un’invasione britannica. Wilhelmina teme che il suo paese diventi un campo di battaglia, il che accadrebbe se si schierasse con l’Intesa. Acconsente al passaggio delle forze di von Kluck, a condizione che due divisioni tedesche vengano dislocate nelle Isole Frisoni e in Brabante per garantirne la “neutralità”. La Germania dichiara guerra alla Francia.
3 Agosto - Ultimatum tedesco al Belgio: alle 19 giunge al governo di Bruxelles l'intimazione, concedendogli dodici ore di tempo, di acconsentire al transito alle truppe tedesche. I belgi rifiutano: «se il governo belga accettasse le richieste che gli sono state consegnate sacrificherebbe l'onore della nazione e tradirebbe i propri impegni in Europa». Il riferimento del comunicato belga era al trattato dei XVIII articoli del 26 giugno 1831 che imponeva al Belgio la "perpetua neutralità" garantita dalle grandi potenze. L'impegno alla neutralità belga fu poi confermato il 14 ottobre con il trattato dei XXIV articoli che fu ratificato il 19 aprile 1839.
Occupazione del Lussemburgo. L’Olanda mobilita.
Von Moltke ordina di implementare il piano Schlieffen nella sua interezza. La Prima armata tedesca si schiera lungo il confine con i Paesi Bassi.
4 Agosto - La Prima Armata tedesca di von Kluck attraversa il Limburgo olandese e piomba alle spalle di Liegi. Il Belgio dichiara guerra all’Olanda e alla Germania. Ultimatum inglese alla Germania.
5 Agosto - Crollo dell’esercito belga nell’est. Dichiarazione di guerra inglese alla Germania.
8 Agosto - La Gran Bretagna, la Francia, la Serbia e la Russia dichiarano guerra all’Olanda.
13 Agosto - Anversa si arrende ai tedesco-olandesi.
18 Agosto - Il Giappone dichiara guerra agli Imperi Centrali e all’Olanda.
20 Agosto - Truppe olandesi e tedesche occupano Gent, Ostenda e Ypres.
Il corpo d’armata che Moltke ha tolto a von Kluck per rinforzare la Lorena e la Prussia è parzialmente sostituito da forze olandesi, anche se molte devono restare a difendere il paese da raid costieri inglesi. La Kriegsmarine disloca unità a Rotterdam ed Anversa.

Settembre - Battaglia dell’Oise. Von Kluck raggiunge e supera la Somme e si avvicina a Parigi da nordest. C’è un varco nello schieramento nel settore della Marna, tra la Prima e la Seconda armata. Gallieni riesce a sfruttarlo per rallentare l’estrema destra tedesca e stabilizzare il fronte salvando Parigi.
L’Australia occupa la Nuova Guinea Olandese e Tedesca. Forze inglesi dalla Guyana invadono il Suriname. La Francia conquista le Antille Olandesi Settentrionali. I giapponesi avanzano in Indonesia e assediano Batavia dal mare, generalmente accolti come liberatori dagli indonesiani.
I tedeschi ottengono una grande vittoria sulla Russia a Tannenberg.

Ottobre - In Sudafrica, il “Bitter-ender” afrikaner Col. Maritz, incaricato dal Primo Ministro Sudafricano Louis Botha di invadere l’Africa Sud-Occidentale Tedesca (ASOT) si ammutina il 12 Ottobre, affermando tra l’altro che rifiuta di combattere contro la “madrepatria” olandese.
Il 17 ottobre, la regina Wilhelmina tiene un accorato discorso ai "fratelli lontani" del Sudafrica, esortandoli a ribellarsi a Londra, e partecipare alla "grande riunificazione della patria comune, alla restaurazione della gloria delle antiche Province Unite, di cui voi, Afrikaner, siete un così orgoglioso e possente virgulto".
Ben presto Maritz viene seguito da molti alti ufficiali dell’esercito tra cui il Gen. De Wet, che occupa Pretoria, e lo stesso Generale Smuts, Ministro degli Interni. Il primo ministro del Dominion, l’ex generale boero Louis Botha, eroe della guerra contro gli inglesi, dopo molte esitazioni, accetta di guidare un Sudafrica indipendente. Le forze sudafricane leali alla Gran Bretagna vengono facilmente sopraffatte. Londra non sa che fare. Città del Capo, insufficientemente difesa da forze fedeli al Dominion, cade il 30 ottobre. Maritz e Botha si dichiarano consoli reggenti e De Wet vicerè in nome di Wilhelmina,che viene proclamata "Imperatrice d'Afrika". Ordine alle truppe sudafricane di invadere il Bechuanaland (oggi Botswana), dichiarazione di guerra a Francia, Gran Bretagna e Russia.
Il Kaiser, su consiglio del Feldmaresciallo von Hindenburg, decide di riconoscere agli alleati afrikaner il possesso della parte meridionale dell’ASOT, che Maritz aveva occupato, ed assegnare il comando delle truppe coloniali tedesche di tutta l’Africa al Generale Paul von Lettow-Vorbeck, già veterano di campagne in Cina, ASOT e Camerun, ed attuale comandante delle guarnigioni in AOT, piuttosto che al generale Lothar von Trotha, favorito del Kaiser, celebre per i massacri durante la rivolta ottentotta del 1904, e già rimpatriato per le proteste dell’opinione pubblica a seguito di spaventose atrocità sui nativi. "Viste l'accoglienza da parte dei locali dell'insurezione boera in Sud Africa e dell'invasione dell'Indonesia da parte giapponese", sostiene Hindemburg, "è preferibile, mein Kaiser, scegliere un uomo che rappresenti per gli indigeni un Reich con il volto del liberatore dall'oppressione coloniale anglofrancese, piuttosto che occupare le loro terre con truppe comandate da un noto sterminatore di negri. Avere il favore dei locali potrebbe facilitarci la campagna."
Sul fronte occidentale quello che resta delle forze britanniche non dispone dei porti di Calais e Boulogne per i rifornimenti, ed è stato investito in modo molto pesante dalla avanzata tedesca. Parigi resiste (ma è minacciata molto più da vicino che nella nostra storia dopo la Marna).
Coi sottomarini tedeschi liberi di scorrazzare nella Manica, i rifornimenti inglesi alla Francia sono messi a dura prova. La Germania dichiara che la Manica è zona di guerra è che ogni nave in quel tratto di mare sarà affondata, mentre nelle altre acque britanniche le navi neutrali saranno al sicuro.
Intanto il Togo tedesco è spartito tra Francia ed Inghilterra, mentre i giapponesi prendono Batavia e occupano le isole di Giava e Celebes, Bali, Lombok, Flores, Sumbawa, le Molucche e il resto delle isole della Sonda. Il Borneo e Sumatra vengono divisi tra Malesia Britannica e Giappone nel corso di mesi di Novembre e Dicembre. I giapponesi si prendono la parte più grande: la Gran Bretagna ha poco interesse ad estendersi nell’area a parte le isole attorno a Singapore, la zona di Aceh e la valle del Kapuas.
Il governo francese è consapevole che la resa significa la fine effettiva dell’indipendenza nazionale, e quello inglese che una Germania vittoriosa oscurerebbe la potenza britannica.
La Serbia resiste ancora efficacemente agli austriaci, e fuori d’Europa la guerra va a favore dell’Intesa.
Nell’inverno 1914-1915 operazioni di guerra di movimento sono impossibili. I francesi, con un modesto aiuto inglese, riescono a trattenere i tedeschi a pochi chilometri da Parigi almeno fin quando una stabilizzazione dei fronti non è resa necessaria dalla stagione verso la metà di novembre.
Inverno di trincea.

Dicembre - Gli stati indigeni sud africani del Basutoland (oggi Lesotho) e Swaziland, che erano rimasti a fianco della Gran Bretagna, vengono schiacciati dalle truppe afrikaner comandate da Maritz e tedesche al comando di Victor Franke, arrivate dall’Africa Tedesca del Sud-Ovest su ordine di von Lettow-Vorbeck; la successiva guerriglia è rapidamente sconfitta.


1915

Gennaio - Gli inglesi della colonia del Capo assaggiano la medicina che le loro forze avevano propinato ai Boeri quindici anni prima: i campi di concentramento (chiamati lager in Afrikaans).

Febbraio - La Bulgaria rompe gli indugi ed invade la Serbia a fianco degli Austro-tedeschi appena la stagione delle operazioni riprende. Il paese viene spartito, tra Austria a nord e Bulgaria a Sud

Marzo - La grave sconfitta del colonnello Miani a Gasr Bu Hadi in Tripolitania e la proclamazione della Repubblica Libica impensieriscono Roma ( HL: si dice il ministro delle Colonie, Ferdinando Martini, girasse urlando “Peggio di Adua!” quando gli giunse da Tripoli il telegramma della disfatta) al punto che si decide di continuare a trattare con l’Austria facendosi pagare la neutralità, anche in considerazione di una situazione militare favorevole alla Germania. Si elaborano piani per riconquistare la colonia libica ribelle.

Aprile – Gli ultimi resti sconfitti dell’esercito serbo in rotta sono soccorsi in Albania dai francesi e dagli inglesi; la Grecia tentenna ed il Primo Lord dell'Ammiragliato Churchill, reputando troppo impegnative sia l’operazione pianificata contro Gallipoli che lo sbarco di truppe a Salonicco, richiesto dagli alleati francesi per inquadrare i resti dell’esercito serbo e marciare contro gli austro-bulgari, decide invece di dirottare le truppe serbe a rinforzare l’esercito imperiale anglo-indiano in Iraq.
In Occidente sfiancante guerra di posizione attorno Parigi, in Polonia i tedeschi ottengono impressionanti successi contro i russi, ma nessuna vittoria decisiva. In Armenia i Russi faticano ad avanzare, mentre i Turchi deportano e massacrano la popolazione locale cristiana. I sottomarini tedeschi imperversano nella Manica. Attorno Parigi vengono usati i gas (dai tedeschi) e i carri armati (dagli inglesi). Le condizioni dei soldati al fronte peggiorano vistosamente.
Nel corso dell’estate i ribelli libici respingono un tentativo di sbarco italiano a Zliten. Il governo italiano decide di avviare trattative con i Senussiti per isolare l’ala radicale e repubblicana della ribellione, che fa capo a Ramadan Shatawi ed alla tribù dei Sef en-Nasser, tra loro storicamente ostili ma uniti nel combattere gli italiani. Visto l’isolamento e la debolezza italiane ed un certo grado di appoggio da parte degli Imperi Centrali, però, i capi della rivolta rifiutano qualsiasi accordo ed al massimo sono disposti ad una alleanza, posto che l’Italia riconosca l’indipendenza libica. Il fallimento determina la fine politica di Martini, sostituito alle colonie dal nazionalista Volpi, che immediatamente decide di usare il pugno di ferro ed organizza una costosa spedizione con due divisioni nazionali e tre coloniali di ascari eritrei. Il prestigio del governo è in bilico nonostante l’Austria finalmente accetti di cedere il Trentino italofono in cambio della neutralità. Gli irredentisti protestano, ma il governo è ormai concentrato sulla Libia.

Settembre – Gli Anglo-Indiani espugnano Baghdad. Il Giappone, che è di fatto fuori dalle operazioni militari dopo la caduta delle Indie Olandesi e dell’Oceania tedesca, si prepara ad intavolare trattative di pace.

Novembre – Il protettorato inglese del Bechuanaland è completamente occupato dagli Afrikaner sotto il comando di De Wet ed annesso all’Afrika.

Dicembre - L’ambasciatore giapponese negli Stati Uniti contatta i suoi omologhi tedesco, olandese ed austro-ungarico offendo un trattato di pace in cambio dei territori conquistati, senza del tutto escludere la possibilità per l’Olanda di riavere almeno Sumatra alla fine del conflitto. Gli olandesi rifiutano, ma la Germania offre in cambio all’alleato un boccone assai più appetitoso: le province belghe di lingua fiamminga e, in caso di vittoria, parti degli imperi coloniali inglese e francese.
Le trattative segrete procedono.


1916

La Danimarca cede agli USA le Isole Vergini Occidentali. (HL)

Febbraio - La Germania annette il Granducato del Lussemburgo ed il lussemburgo belga, accorpandoli sotto lo scettro del Granduca Federico II di Oldenburg, assegna le province neerlandofone del Belgio all'Olanda, che le annette. Questo sia per ridurre le forze e le spese necessarie all'occupazione, che per compensare l'Olanda della perdita delle Indie Orientali, ormai ritenuta inevitabile dagli alti comandi e "prezzo da pagare" per il ritiro dei giapponesi dal conflitto. Parte della popolazione fiamminga è ben contenta del cambiamento, anche perché dopo la dura occupazione militare il ritorno al governo civile è il benvenuto. Non così a Bruxelles, anch'essa assegnata all'Olanda, che è un'isola francofona nella campagna fiamminga. La regina Wilhelmina visita la città nel tentativo di placare le proteste, ma viene fischiata dalla folla, in contrasto con la buona anche se non calorosa accoglienza che riceve ad Anversa, Gent, Bruges ed Ostenda.
Il Belgio francofono è occupato dai tedeschi.

3 Marzo - La Germania, che spera di annetterne le colonie africane, dichiara guerra al Portogallo, a seguito di vari incidenti navali con navi e sottomarini tedeschi.

Marzo - Gli Stati Uniti avvisano la Gran Bretagna dell'esistenza di trattative nippo-tedesche. L'apporto militare del Giappone è relativamente piccolo (visto che è limitato al sud-est asiatico nemmeno difeso troppo energicamente tra l’altro dagli imperi centrali), ma prezioso per la difesa dei possedimenti asiatici dell'Intesa, ed ha un certo valore economico. Alla fine la Gran Bretagna accetta di cedere tutta Sumatra e le isole Bangka e Belitung al Giappone per mantenerlo in guerra. La Malesia Britannica viene ingrandita con gli arcipelaghi Riaw, Lingga e Natuna, a sud e ad est di Singapore, e con l'annessione dell'ex sultanato di Pontianak, nel Borneo occidentale, comprendente il bacino del fiume Kapuas. I Giapponesi restano dunque in guerra e, a causa di rivolte antifrancesi (probabilmente sostenute dagli Imperi Centrali) in Vietnam, inviano truppe per reprimere la rivolta e pacificare l’area, evitando alla Francia un ulteriore sforzo, ma indebolendone la presa sull'Indocina.

Aprile - Rivolta araba. Le forze del principe Hashimita Faysal e del Colonnello Lawrence scacciano gli Ottomani dallo Hijaz ed invadono la Transgiordania. In Egitto, le truppe del Generale Allenby scacciano gli Ottomani dal Sinai e prendono Gaza. Comincia la battaglia di Palestina.
In Irlanda scoppia la sanguinosa rivolta di Pasqua. L'esercito inglese, già in difficoltà, si trova con un altro fronte.
Sottomarini tedeschi inviano rifornimenti ai ribelli. La Germania e l'Olanda riconoscono un’Irlanda indipendente. Le atrocità inglesi nella repressione suscitano sdegno negli Stati Uniti, ma vengono oscurate dalle notizie del genocidio armeno di Enver Pascià.
Intervento degli Stati Uniti in Messico per catturare Pancho Villa, che gli sfugge e continua a combattere contro il governo di Carranza.
Graduale escalation della presenza americana nel corso del 1916, che obbliga Carranza a chiederne il ritiro per salvaguardare la sovranità del Messico.
Le forze tedesche nell’ASOT, rinforzate da truppe Afrikaner, sotto Franke invadono l’Angola portoghese. Altre forze afrikaner attaccano in Mozambico. La progettata invasione della Rhodesia dal Bechuanaland viene rinviata, dando respiro alle magre forze rhodesiane impegnate in Africa Orientale Tedesca (AOT).

Luglio - La Spedizione di Volpi raggiunge Tripoli e Homs e sbarca circa diecimila soldati tra italiani ed ascari eritrei. I primi mesi vengono trascorsi ad assicurare il controllo della costa, in particolare di Zliten e Sirte.
Le trattative coi Senussiti, seppure senza convinzione, procedono: gli italiani occupano Tobruch ma lasciano stare il resto della Cirenaica, riuscendo per il momento ad impedire ai Senussiti di prestare aiuto a Shatawi in Tripolitania.

Agosto - Truppe austriache e bulgare invadono l'Albania. Il ministro greco filo-occidentale Venizelos viene destituito ed incarcerato grazie alle pressioni di Berlino e Vienna, è sostituito da Alexandros Zaimis. Re Costantino, prima osteggiato apertamente da Venizelos per le sue simpatie austro-tedesche, può finalmente comunicare l'ingresso della Grecia in guerra a fianco degli Imperi Centrali.
Sconfitta rovinosa dei russi, dopo una promettente avanzata nella Galizia austriaca sotto la guida del generale Brusilov, nella battaglia di Leopoli.
L'Albania viene spartita tra Austria, Bulgaria (che ottiene Corizza) e Grecia (territorio a sud del Semeni, come compenso per l'entrata in guerra); l'Italia riceve la baia di Valona, le isole vicine ed il relativo porto in cambio dello sgombero della sua missione militare a Durazzo, che viene sostituita da una austriaca.

28 Agosto – Disastrosa sconfitta militare e morale della Francia con la caduta della fortezza strategica di Verdun, dopo quattro mesi di guerra di logoramento.

Settembre - Caduta di Lourenço Marques (oggi Maputo, in Mozambico), nelle mani delle truppe afrikaner.
La Romania, dopo una lunga esitazione, entra in guerra a fianco degli Imperi Centrali con la promessa dell’agognata Bessarabia russa.
Franke e le sue truppe tedesche avanzano in Angola.

Ottobre – In Etiopia, un complotto per rovesciare l'Imperatore Ligg Iyasu, guidato da Ras Tafari Makonnen ed altri esponenti pro-intesa della Corte, viene scoperto quando alcuni nobili coinvolti, disperando delle possibilità dell'Intesa di vincere la guerra, lo abbandonano e lo denunciano.
I capi del complotto vengono esiliati in zone remote del paese e privati digran parte delle loro cariche. Iyasu decide di risparmiare loro la vita in virtù dei meriti di alcuni di loro, o della loro appartenenza alla famiglia reale. Tra gli esiliati ci sono molti dei maggiori ecclesiastici copti del paese, già preoccupati dalle sempre più marcate tendenze filo-islamiche di Iyasu. L'Imperatore ne approfitta per decapitare la gerarchia religiosa.
Muore Francesco Giuseppe, Imperatore d'Austria e re d'Ungheria. Gli succede Carlo I, suo pronipote, che avvia trattative segrete per porre fine alla guerra e dare all'Austria maggior spazio di manovra rispetto alla Germania. L'unico risultato sarà la firma di un armistizio, formale ed inutile, tra Austria e Giappone.
Il governo giapponese, ambendo ad impadronirsi dell’Indocina, denuncia un complotto degli Imperi Centrali per far entrare il Siam in guerra, provocando simultaneamente una nuova rivolta nell'Indocina Francese ed in Birmania. Considerata la notevole agitazione e la scoperta di un complotto simile in India, gli inglesi non stentano a crederci. Il Giappone (affiancato da una pletorica forza vietnamita dell'esercito francese) invade il Siam per terra e per mare, occupando nel tragitto punti strategici dei protettorati francesi di Cambogia e Laos.

Novembre - La campagna elettorale per le presidenziali negli USA è condizionata dai rapporti USA-Messico, con Wilson favorevole ad un atteggiamento morbido ed i repubblicani propensi ad una invasione. Viene eletto il candidato repubblicano Hughes.
L'Imperatore etiope Iyasu dichiara guerra a Francia e Gran Bretagna per aver appoggiato il tentato colpo di stato ai suoi danni e si allea formalmente a Mohammed Hassan, detto "Mad Mullah" dai suoi nemici inglesi, un capo somalo che combatte per l'indipendenza del suo paese (diviso tra Etiopia, Francia, Italia e Gran Bretagna) che governa un piccolo territorio sotto formale protettorato italiano.

Dicembre - Il grosso delle forze italiane, due divisioni coloniali ed una nazionale (su un totale di cinque) sferra un assalto contro Misurata, la capitale libica, sperando di catturarla al primo colpo. hanno però un'amara sorpresa: l'ex ufficiale del genio dell'esercito turco Mirza Suleyman Bey, che ha già combattuto in Libia nel 1911-12, è con i ribelli ed ha consigliato loro di fortificare Misurata con trincee, terrapieni e nidi di mitragliatrici. Benché Shatawi si fosse inizialmente opposto, preferendo affrontare il nemico a viso aperto, il parere di Mirza viene accolto e gli italiani subiscono perdite consistenti sin dalla prima offensiva. Anche se non si tratta di una sconfitta come Adua o Gasr Bu Hadi, è un brutto colpo. Misurata diventa una Verdun tascabile nel deserto.
Gli eserciti etiopici prendono Gibuti d'assedio ed invadono Somaliland e Kenya nord-orientale, mentre il tentativo di tagliare le linee inglesi in Sudan lungo il Nilo viene respinto dalle truppe anglo-egiziane.
Il Siam non esiste più e viene spartito dall'Intesa in tre zone. L'est, che appartiene al bacino del Mekong, è unito al Laos (di fatto sotto controllo nipponico), l'ovest, col Karenland e la fascia di territorio che collega la Birmania alla Malesia, all'India britannica, ed il cuore del paese, il bacino del Menam con la capitale Bangkok, annesso all'Impero Giapponese. Le due potenze dell’Intesa sono troppo preoccupate in Europa ed Africa per potersi permettere di diffidare del Giappone. Ma gli Stati Uniti (e l’Australia) sono sempre più allarmati dalle spericolate manovre politico-militari nipponiche.

25 Dicembre - La chiesa d'Etiopia proclama la propria autocefalia (Chiesa Salomonica Copta d’Abissinia) e l'Imperatore ne diventa capo, con potere di nomina su tutti i vescovi e sul patriarca. Il Papa di Alessandria d'Egitto, capo della chiesa copta, scomunica l'autocefalia salomonica e tutti i suoi seguaci. I Copti rimasti fedeli ad Alessandria sono esclusi dall'editto di tolleranza religiosa applicato a tutto l'impero etiopico.

La guerra sui mari fino al 1917
Grazie agli sforzi dei giapponesi e dell’Impero Britannico la marina tedesca e quella olandese sono espulse dal pacifico e dall'Oceano Indiano entro il 1915. La flotta britannica è in grado di isolare l'Afrika dai suoi alleati europei, le scarse forze navali bulgare, turche e rumene vengono cacciate dal Mar nero rispettivamente nel 1915, 1916 e 1917 dalla flotta russa.
Le grandi contrapposizioni navali hanno luogo nel Mediterraneo, nella Manica e nel Mar del Nord.
Nel Mediterraneo le flotte inglese e francese si contrappongono a quella turca (anche se in realtà le navi sono tedesche), austriaca e greco-balcanica (serba, bulgara e rumena), senza che nessuno dei due schieramenti riesca a prevalere e senza grandi battaglie.
Nella Manica e nel mare del Nord si concentrano il grosso della flotta inglese da un lato e tedesco-olandese dall'altro. Nel 1916 c'è il grande scontro, la cosiddetta battaglia dello Jutland. L'Inghilterra con la sua flotta tenta di imporre un blocco navale a Germania ed Olanda, mentre i tedeschi usano i sottomarini per bloccare le comunicazioni tra Francia e Gran Bretagna, danneggiando il commercio inglese, il che ha accresciuto l'ostilità con gli USA. (Tuttavia in questa TL non c'è l'incidente del Lusitania e la guerra sottomarina è molto limitata, concentrandosi sulla Manica.) Nessuno dei due schieramenti riesce a “vincere” la battaglia dello Jutland, ma grazie a rinforzi olandesi la marina tedesca obbliga quella inglese a ritirarsi nelle sue basi in Scozia con serie perdite. La Gran Bretagna ha serie difficoltà a far funzionare il blocco navale, anche per l’atteggiamento ostile della Norvegia, mentre i sottomarini tedeschi scorrazzano indisturbati. In ogni caso dopo la battaglia dello Jutland anche la flotta di superficie tedesco-olandese ha subito perdite che le impediranno di dominare nelle fasi finali della guerra.


1917

Gennaio - A causa dell'intervanto etiopico, le forze di Allenby in Palestina vengono trasferite in Sudan. Gli eserciti Hashimiti di Faysal e Lawrence entrano a Gerusalemme e Damasco, accolti come liberatori.

Febbraio - La spaventosa carestia provocata dalla guerra in Siria e Libano sfocia in una rivolta generale all'avvicinarsi degli arabi. Gli Assiri cristiani, istigati dagli inglesi, si rivoltano sull'Alto Tigri e conquistano Diyarbakir, per poi muovere a nord per ricongiungersi con i Russi, tenuti a freno in Armenia dal generale turco Enver Pascià.
L'Impero Ottomano è al collasso.
Un’offensiva austro-bulgaro-romena sul basso Danubio respinge i Russi sulla linea del Bug. Nei territori occupati ad oriente dello Dnestr viene insediato un governo provvisorio ucraino filotedesco, controllato dallo Hetman cosacco Petljura.
Rivolte per il pane a Parigi, Pietrogrado e Mosca, ammutinamenti di massa nell'esercito zarista e nelle denutrite divisioni portoghesi sul Fronte Occidentale.

Marzo – Le truppe inviate dallo Zar a reprimere le proteste e le sommosse popolari a Pietrogrado solidarizzano con gli insorti ed assumono il controllo della capitale russa. Viene istituito il Soviet degli operai, degli studenti e dei soldati di Pietrogrado, che assume il controllo della città, ed è ben presto imitato nelle altre maggiori città del paese; i diversi gruppi socialisti, in maggioranza menscevichi, controllano la nuova assemblea. Lo Zar, resosi conto di non avere più il controllo della situazione né al fronte né nella sua capitale e di non poter più contare sulla lealtà dell’esercito, abdica in favore del fratello, il Granduca Michele, che a sua volta rinuncia al potere due giorni dopo. Un governo provvisorio guidato dal democratico costituzionale (cadetto) principe L’vov, a cui partecipano cadetti ed ottobristi (espressioni della borghesia e della parte più illuminata dell’aristocrazia) con l’appoggio esterno dei menscevichi e di parte dei social-rivoluzionari, assume il potere in Russia e decide di continuare la guerra, scontentando notevolmente i soviet.
In Austria, influenzato anche dagli eventi russi, Carlo I decide di risolvere alcuni problemi interni all'Impero. Suo fratello, l’Arciduca Massimiliano Eugenio d’Asburgo-Lorena viene incoronato a Belgrado Viceré di Serbia. La Serbia diviene un nuovo regno assieme al Kosovo, la Bosnia-Erzegovina viene divisa, la Bosnia serba ed ortodossa viene incorporata nel nuovo regno serbo, l'Erzegovina e parte della Bosnia croate e cattoliche vengono unite al nuovo Regno di Croazia assieme all'Epiro (Albania settentrionale). La capitale del nuovo regno serbo continua ad essere Belgrado ed il serbo-croato viene riconosciuto lingua ufficiale assieme alle altre dell’Impero. In qualche modo l'aspirazione serba ad annettere la Bosnia, che aveva causato il conflitto, viene così soddisfatta. La Serbia fa ora parte dell'Impero Austro-Ungarico come regno federato, in termini simili a quelli dell'Ungheria. Con quello che passerà alla storia come il "secondo compromesso" (zweite ausgleich), Carlo riforma l’Impero come unità federale, concedendo piena autonomia economica ed amministrativa ai vari regni, i quali rimangono uniti nell'Impero riconoscendo Carlo I come unico titolare delle proprie Corone. Carlo I, per evitare malumori, preferisce scegliere come suoi Viceré persone fidate e capaci, ma al contempo vicine ai sentimenti nazionali del vicereame che andranno a governare. Vengono così a costituirsi i parlamenti e le forze armate nazionali dei Regni di Austria, Boemia, Ungheria, Croazia, e Serbia.
Il conte Mihaly Karoly, il più illuminato dei leader ungheresi, appena nominato Primo Ministro d’Ungheria attua immediatamente la vecchia proposta sul suffragio universale maschile (lo farà davvero, nel 1918, anche nella HL) ed alle elezioni previste in luglio otterrà una maggioranza schiacciante.
In Serbia, Bosnia ed Albania vengono reclutate truppe che vengono inviate a presidiare la frontiera con l'Italia liberando divisioni croate e magiare per il fronte orientale.
Il piccolo regno di Montenegro diventa protettorato dell’Italia in seguito alle pressioni della Regina Elena, figlia del re Nikita.

Aprile - La Bulgaria sgombera il Kosovo meridionale, dove viene insediata l'amministrazione asburgica, nel giubilo della popolazione locale, sia serba che musulmana, esausta dopo quasi due anni di una durissima occupazione militare bulgara.
Con l’Impero Russo in profonda crisi, la Finlandia proclama l’indipendenza sotto la guida del maresciallo Mannerheim.
Gran parte delle forze britanniche ed indiane in Iraq sono ritirate e trasferite in Africa Orientale, lasciando le proprie posizioni alle riorganizzate forze arabe di Faysal e Lawrence.
Gli Stati Uniti dichiarano guerra al Messico. Il Nord del paese è invaso dalle forze del generale Pershing.

Aprile/Maggio - Tutte le truppe rhodesiane ed inglesi in AOT (rafforzate dal contingente anglo-indiano reduce dell'Iraq) vengono ritirate per fronteggiare gli afrikaner, che sotto Maritz e Botha stanno invadendo la Rhodesia del Sud ed il Mozambico, lasciando campo libero al colonnello von Lettow-Vorbeck in AOT. La sua schutztruppen avanza verso nord, per ricongiungersi con gli etiopi in Kenya. Gli inglesi controllano ancora i porti della AOT ed di belgi i propri territori occidentali sul lago Tanganica, ma non hanno modo di avanzare perché le popolazioni dell'interno sono compatte nell'appoggiare i tedeschi. I coloni della Rhodesia resistono con tutte le forze ai Boeri, opponendo una spietata guerriglia.

Giugno - Gli arabi hashimiti si ricongiungono sul medio Eufrate. Vittoria sui Turchi ad Aleppo.
Gli Assiri, "il nostro alleato più piccolo" disse Lloyd George, ottengono una serie di vittorie sulle retrovie di Enver Pascià, occupano Mardin, l'alto Tigri e la sponda occidentale del lago di Van, guidati dal "Napoleone assiro" Shimun Bar Thadday.

Luglio - Forte della sua maggioranza politica e dell'appoggio dei popoli non magiari, Karoly inizia una serie di riforme per spezzare il monopolio della piccola nobiltà magiara guidata da Istvan Tisza sull'amministrazione ed il potere politico, godendo anche del sostegno del prestigioso generale transilvano Arz von Stauffenberg, reduce di una grande vittoria sui Russi a Vinnica in Ucraina (nella HL Arz è il vincitore di Caporetto), che gli spalanca le porte della capitale Kiev, dove viene incoronato Re d'Ucraina l'Hetman Simon Vasilovič Petljura, ex ufficiale cosacco dell’esercito russo.
Le spaventose condizioni in trincea e la sempre più evidente mancanza di prospettive nella guerra provocano ammutinamenti e rivolte nelle truppe francesi e portoghesi sul fronte occidentale. La risposta del governo e degli stati maggiori è durissima: interi reggimenti subiscono la decimazione. I generali Sarrail e Pétain riescono ad imporre migliori condizioni di vita per la truppa ed a tamponare la difficile situazione; ma la diserzione è endemica e solo l’impiego sempre più esteso di truppe coloniali e britanniche permette di tenere il fronte, perfino attorno alla stessa Parigi. La Francia è a pezzi.
Manifestazione dei Bolscevichi e dei social-rivoluzionari di sinistra a Pietrogrado contro il governo provvisorio e la guerra. La rivolta è soffocata nel sangue, ma provoca la caduta di L’vov e la formazione di un nuovo governo provvisorio sotto l’ex ministro della guerra, il socialista moderato Kerenskij. I due gruppi socialisti filo-governativi accrescono la loro presenza nel governo, che continua ad avere l’appoggio dei cadetti, ma non più degli ottobristi monarchici.
I bolscevichi, privi della guida del loro leader indiscusso Lenin, in esilio in Svizzera, assumono un atteggiamento incerto. Inizia a profilarsi una scissione tra la “sinistra” guidata da Trockij, Zinov’ev e Kamenev ed un gruppo eterogeneo i cui maggiori esponenti sono il giovane Molotov e Rykov, favorevoli ad una cooperazione con i menscevichi. Nessuno dei due gruppi però propone apertamente la presa del potere.

Agosto - Misurata si arrende agli italiani. Il colonnello Rodolfo Graziani, che riceve la resa dei libici dopo aver garantito della loro vita, una volta entrato in città ordina l'eccidio di tutti i prigionieri e di tutti i funzionari della Repubblica Libica e i notabili della città (ulema e capi tribali). Questo massacro, che sfoga le frustrazioni del lungo assedio e di anni di insuccessi coloniali, anziché servire da monito per gli altri arabi della Libia ne infiamma la resistenza, specialmente quando riappare a Zavia Ramadan Shatawi, creduto morto e invece fortunosamente sopravvissuto a Misurata (sotto un mucchio di cadaveri) e fuggito dalla città travestendosi da donna. (Tanto per il mito degli italiani brava gente: Graziani farà la stessa cosa in Etiopia nella HL, a Dagahbur e Debra Libanos. Per non parlare degli orrori del lager di Soluch, in cirenaica, negli anni Trenta. Era il piccolo Kesselring dell'Italia coloniale);
Le flotte greca ed austro-ungarica, usando i porti alleati greci e turchi per sfuggire alla caccia della potente Grand Fleet, sbarcano truppe sull'isola di Cipro, in appoggio ad una rivolta anti-inglese della popolazione locale sia greca che turca. Gli inglesi perdono il controllo della colonia tranne un piccolo territorio a sudest (Famagosta).
Nella battaglia del lago Vittoria tedeschi ed etiopi accerchiano il grosso delle forze inglesi del Kenya ed assumono il controllo navale del lago. Rinforzato con contingenti etiopi, kenyoti ed ugandesi (ex ascari britannici disertori), Lettow recupera il Rwanda-Urundi, ex colonia tedesca occupata dei belgi, ed in quei popolosi altipiani recluta migliaia di guerrieri tutsi e fanti hutu desiderosi di sfuggire alla miseria della loro vita agricola. Con questo esercito, soprannominato in lingua kinyalrwanda "Inkotanyi" (invincibile), invade il Congo Belga, accolto come un liberatore dalla popolazione locale, da decenni vessata dal brutale colonialismo belga.
Enver Pascià si volge a sud, rinunciando al tentativo di raggiungere il Caspio ed il Caucaso attraverso le disgregate linee russe, anche a causa della resistenza accanita della popolazione armena, per attaccare gli Assiri e le forze anglo-arabe che stanno salendo verso la Siria.
Violenti scontri diplomatici tra gli emissari del principe Faysal ed il Generale Allenby, impegnato a reprimere le rivolte anti-inglesi ed anti-cristiane in Sudan settentrionale, in merito al futuro governo di Iraq, Siria e Palestina, che Faysal reclama per se mentre la corona britannica vorrebbe inglobare nei propri dominion. Per precauzione, emissari arabi vengono inviati in segreto a Kayseri con il compito di negoziare con i turchi.
[Modificato da Xostantinou 12/01/2012 22:06]



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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”