00 13/07/2012 10:51
tratto da OmniAuto.it



Corea del Sud, la nuova tigre asiatica che ha preso da tempo il comando dell’elettronica di consumo e ha un’industria automobilistica che con Hyundai e il suo gruppo continua a crescere a ritmi sostenuti anche nei contesti sfavorevoli, come è in questo momento l’Europa. Siamo andati al di sotto del 38esimo parallelo per capire da vicino le ragioni del successo di Hyundai incontrandone gli artefici, visitandone le strutture e vivendo per qualche giorno i luoghi e la società dove vive e prospera il quarto costruttore mondiale. Abbiamo visitato gli impianti produttivi, il reparto ricerca e sviluppo, le acciaierie –particolarità unica nel panorama automobilistico mondiale– e ci siamo confrontati direttamente con i massimi vertici di Hyundai, ma ci siamo anche recati a Yaesu per visitare l’Expo 2012 e capire così le aspirazioni di un paese e del suo apparato industriale.

APPENA ARRIVATI
Quattro giorni in Corea del Sud, il paese che ha battuto il Giappone sull’elettronica di consumo e ora mira a farlo anche con le automobili, non sono troppi, ma non sono neppure pochi per capire di più cosa c’è dietro quegli occhi mandorla che sembrano identici a quelli dei nipponici o dei cinesi, ma che in realtà sono molto diversi. Corea, un nome che per gli italiani di una certa generazione significava "sconfitta". Un luogo comune nato nel 1966 quando la nostra nazionale di calcio perse inaspettatamente ai mondiali di Inghilterra contro la compagine asiatica e fu costretta a tornare a casa. Un anno dopo nasceva la Hyundai, oggi quarto costruttore mondiale con 6,7 milioni di auto prodotte e nessun obiettivo palese, a parte quello di passare a 7 milioni già nel 2012. I fatti però dicono che i coreani sono cresciuti al ritmo di oltre il 10% negli ultimi 10 anni ed è il quarto paese al mondo per produzione di auto con 4 milioni di pezzi. Per una popolazione di 50 milioni il mercato è di 1,4 milioni di auto ed è stradominato dal gruppo di casa che nei primi 5 mesi ha coperto il 75% delle richieste. E pensare che fino a qualche anno fa erano a quasi il 90%... In effetti nella strada che separa dall’aeroporto di Incheon a Seoul Hyundai e Kia fanno un bicolore dominante, macchiato da qualche Chevrolet, qualche puntino europeo e americano mentre – incredibile ma vero – le auto giapponesi si contano sulle dita di una mano.

LA COREA NON E' IL GIAPPONE
L’arcipelago del Sol Levante è così vicino, eppure è così lontano; a cominciare da un fatto semplice semplice: la guida qui è a sinistra. Già i primi istanti a contatto con la Corea si capisce quanto sia sbagliato pensare che i suoi abitanti siano praticamente uguali ai giapponesi. Certo, all’aeroporto si vedono segnali strani come quello che invita a fare attenzione se si portano le scarpe con i tacchi alti o i lacci quando si prendono le scale mobili o le impronte disegnate di fronte agli ingressi del trenino di collegamento tra i vari terminal, ma si capisce subito che qui le regole non sono ossessioni e c’è un generale e robusto gusto per la semplicità e la pragmaticità. Anche il curioso macchinario che hanno a disposizione gli addetti dell’Immigrazione è un gioiellino, un miracolo di immediatezza: si infilano contemporaneamente i due indici in due spazi appositi e si guarda nell’obiettivo. Fatto. Anche il temperamento delle persone è totalmente diverso, appaiono più sicure di sé, meno timide, più sorridenti, più dirette nella comunicazione, meno ossessionate dal tempo e anche dalla tecnologia che rimane sempre ben nascosta e priva di qualsiasi effetto speciale. Anche il rapporto con il traffico, intenso a tutte le ore, è per certi versi latino: c’è chi supera i limiti di velocità, ma il 99% li rispetta; si passa da una corsia all’altra senza troppi complimenti, ma nessuno prova a fare il furbo; allo stop ci si può anche fermare un metro dopo la linea bianca, ma con il rosso non si passa.

TRA PALAZZI E BERLINE
Dominano le berline, neppure di piccole dimensioni e il primo paesaggio che si presenta è fatto di ponti, un porto imponente e poi la periferia fatta di palazzi alti e numerati, alcuni marchiati dai loghi di grandi aziende che probabilmente li hanno concessi ai loro dipendenti. Seoul è grande, ma non mastodontica: 4 milioni sono una bazzecola di fronte ad altre metropoli asiatiche e la presenza del fiume che l’attraversa e delle colline boscose che la circondano attenua ulteriormente la sensazioni di trovarsi in una impietosa distesa di cemento. Il verde poi è sistemato ovunque: dalle barriere antirumore agli alberi lungo le strade, ci sono anche case basse con un minimo di giardino intorno. Anche la corsa verso l’alto dei grattacieli non sembra essere una priorità e anche in questo campo i primati la Corea li lascia agli altri: il grattacielo più alto ha “solo” 57 piani, un nano a confronto di quello che altre capitali asiatiche hanno. Un paese dunque organizzato, con una propria identità e anche qualche debolezza. Il caldo infatti è quasi tropicale e, arrivati in stanza, dopo un po’ qualcuno fa sfilare un biglietto sotto la porta: ci avvisano di uno sciopero dei tassisti per il giorno dopo. In fondo anche questa è una penisola con un costruttore automobilistico, che vogliamo raccontarvi.

Il futuro secondo Hyundai? Ne abbiamo potuto avere un assaggio sulla pista di prova annessa al centro ricerche e sviluppo di Namyang, avendo la possibilità, durante il nostro viaggio in Corea, di metterci al volante della i10 Electric, della Sonata Hybrid e della ix FCEV (Fuel Cell Electric Vehicle) derivata dalla ix35.

LA PICCOLA ELETTRICA
La i10 elettrica non è la prima auto del gruppo. Ad anticiparla c’è stata la cuginetta Kia Ray EV, ma la tecnologia è molto simile. Da fuori, decalcomanie a parte, la differenza si scopre nello sportellino per il rifornimento: una presa serve per la ricarica normale in 5 ore, un’altra secondo lo standard Chademo per riempire all’85% i 16 kWh della batteria ai polimeri di litio della LG, una tecnologia alla quale solo Hyundai crede e, che per loro stessa ammissione, é meno efficiente di quella degli ioni di litio, ma molto più affidabile, sicura e duratura. La i10 Electric ha le migliori caratteristiche di tutte le auto elettriche che abbiamo provato, tra cui la prontezza alle basse velocità frutto dei 49 kW del motore, ma soprattutto dei 210 Nm disponibili già allo spunto. Questo vuol dire veemenza nei primi metri e poi una flemma che cresce in modo proporzionale con la velocità coprendo il ronzio dell’elettronica di potenza.

L'IBRIDA CHE C'E' GIA'
La Sonata è dedicata ai mercati americano e asiatico, ma è parente stretta della i40. A distinguerla nello stile ci sono – prevedibilmente – la cura e le forme per gli interni e la forma del frontale mentre la parte posteriore della scocca differisce per le diverse legislazioni in tema di sicurezza. La versione ibrida ha il motore elettrico da 27 kW inserito tra il 4 cilindri a benzina di 2,4 litri da 166 cv a ciclo Atkinson e il cambio automatico a 6 rapporti. La batteria è ai polimeri di litio raffreddata ad aria con presa all’interno dell’abitacolo e posizionata in verticale nel vano bagagli, un particolare che mangia un po’ di spazio e impedisce l’abbattimento dello schienale posteriore. La Sonata Hybrid parte in elettrico e con i suoi 205 Nm è zero in emissioni, ma consistente nella spinta facendosi affiancare dal 4 cilindri ben presto lasciandogli poi campo libero oltre i 120 km/h. L’effetto totale è di una gradevole brillantezza, data dai 206 CV in totale, e un ragionevole orientamento al comfort, più che all’efficienza massima. Ben armonizzati gli interventi in accelerazione e in frenata dove rinuncia a una parte dell’energia recuperabile per avere modulabilità e feeling dal pedale del freno. La Sonata Hybrid costa poco meno di 26mila dollari, ovvero circa 5mila in più rispetto alla versione a motore convenzionale. Quanto potrebbe costare una i40 ibrida? I coreani si guardano negli occhi, ma non rispondono: un po’ forse perché andrebbe fatto un conto, un po’ perché ci stanno pensando, ma non possono dirlo. Sono gli stessi tecnici ad ammettere che si tratta solo del primo passo perché il prossimo anno ci sarà un sistema totalmente nuovo, ancora parallelo: quello normale andrà su un SUV, uno con batteria ricaricabile andrà ad equipaggiare un’auto inedita, nata solo per essere ibrida, dunque per andare contro la Prius Plug-In e la Chevrolet Volt.

L'IDROGENO SI GONFIA D'ORGOGLIO
Qui l’orgoglio dei coreani si vede tutto. Loro all’idrogeno non hanno mai smesso di crederci portando la loro tecnologia sviluppata in casa a livelli di eccellenza testimoniata dalla ix FCEV che abbiamo saggiato brevemente. Sollevando il cofano è quasi difficile per il profano accorgersi che c’è qualcosa di strano perché la differenza nella disposizione di scatole, fili e tubi è appena percepibile. Probabilmente è una cosa anche voluta visto che si affrettano a dirci che lo stack di celle a combustibile è stato posizionato come un normale motore e ha le dimensioni di un 1,6 litri, il 20% in meno rispetto al prototipo di generazione precedente che può vantare anche un’efficienza superiore del 15%. Tutto questo, grazie anche all’idrogeno (5,6 kg) stoccato all’interno di bombole in fibra di carbonio a 700 bar, ha portato l’autonomia reale intorno ai 600 km senza alcuna rinuncia per lo spazio interno o alla cura di ogni singolo particolare dell’abitacolo. La ix FCEV è affascinante come ogni auto ad emissioni zero ed entusiasma per le prestazioni nella guida normale. Le richieste dell’acceleratore vengono ricompensate immediatamente e accompagnate con pari intensità dalla ventola del compressore che pompa aria nelle celle dove si combina con l’idrogeno. Alla sinistra del piantone c’è il pulsante CST (Cold Shut Down) per escluderlo quando si spegne il veicolo, in modo da limitare al massimo la formazione di brina, anche se per l’avviamento non ci sono problemi fino a -25 °C. C’è accanto anche il pulsante VESS (Virtual Engine Sound System) che serve per emettere un suono artificiale ed è destinato a diventare di serie su tutte le auto che hanno almeno un motore elettrico, il cui silenzio potrebbe costituire un pericolo per i pedoni. Per ora, girano 27 esemplari nel mondo della ix FCEV dei quali 7 negli USA e 5 in Europa. Nel 2014 la produzione dovrebbe diventare praticamente di serie con 1.000 unità, numero che la dice lunga sulla convinzione di Hyundai.

"L’orgoglio del migliore R&D globale". C’è scritto così sulla borsa di carta che i signori della Hyundai, durante il nostro viaggio in Corea, ci consegnano alla fine di un pomeriggio trascorso a Namyang, a mezz’ora da Seoul, dove c’è il più grande e importante dei propri 6 centri di ricerca e sviluppo che servono Hyundai e Kia nel mondo. Operativa dal 1995, Namyang è una cittadella immersa nel verde dove lavorano 10mila persone. Si tratta di numeri importanti che sono destinati a crescere visto che ogni anno vengono reclutati circa 400 giovani neolaureati e altri 200 vengono assorbiti dalle consociate. Oltre la quantità, ci sono però due dati salienti. Il primo è il grado di istruzione: secondo le statistiche si tratta per la quasi totalità di laureati, il 29,6% ha un master e il 5,7% ha addirittura un PhD. Il secondo riguarda i livelli salariali: si parte dall’equivalente di 30mila euro, davvero niente male per un paese dove il prodotto interno lordo è pari a quello italiano, ma per una legge del Duemila le grandi aziende coreane sono obbligate a spendere almeno il 5% del loro fatturato, una quota paragonabile solo a quella che spendono fornitori che fanno della tecnologia il loro core business.

IL "MOTORE" DELLA RICERCA
A Namyang si lavora su tutto, ma soprattutto sul powertrain, considerato il cuore di tutto. E non si fatica a crederci vista la mole di motori e cambi sfornata in questi anni, con cilindrate da mille a 4,6 litri e frazionamenti da 3 a 8 cilindri. E pensare che il primo motore sviluppato internamente risale al 1991 – prima erano di origine Mitsubishi – e il primo Diesel è arrivato solo 10 anni dopo. Le trasmissioni vengono progettate e prodotte tutte in casa: dall’automatico a convertitore di coppia a 6 rapporti per le vetture a motore trasversale, al doppia frizione fino ad arrivare all’automatico 8 rapporti a convertitore di coppia a 8 rapporti per auto con motore longitudinale. Pronti ci sono anche un nuovo 4 cilindri dotato di distribuzione con alzata variabile delle valvole e un 3 cilindri mille che abbiamo visto girare al banco collegato ad un altrettanto nuovo cambio CVT. Su questi nuovi progetti le bocche sono cucite, ma qualcuno si lascia scappare che lo vedremo presto non solo su auto piccole. In generale, si capisce che nel settore motori Hyundai vuole dare il meglio di sé puntando sul downsizing, l’iniezione diretta e la sovralimentazione con il turbo. Ricette tutte europee che riflettono le convinzioni dello stratega di prodotto, W.I. Kim: "L’Europa è senza dubbio il mercato più impegnativo – ci dice – dove il cliente è il più esigente, conosce e apprezza le automobili. Per questo progettarne una per voi vuol dire farlo per ogni mercato". E per far intendere qual è il suo punto di riferimento pronuncia due parole: "Das Auto".

IL FUTURO A BASSO IMPATTO AMBIENTALE
E l’ibrido e l’elettrico? Per il primo occorre crederci, ma parlando degli attuali modelli a disposizione i tecnici coreani hanno quasi un moto di scherno: "Il nostro ibrido – dicono – è molto 'morbido', ma ne stiamo preparando uno come si deve per il prossimo anno e sarà ricaricabile. Quello sì che sarà un ibrido! Gli obiettivi da colpire? Toyota Prius e Chevrolet Volt. Il primo ibrido normale sarà un SUV". Si comincia dagli USA e dal mercato interno e poi si arriverà in Europa. Molto più scetticismo c’è sull’elettrico sul quale la precedenza è stata data a Kia, ma da un paio d’anni la sperimentazione è partita sulla i10. Il succo del discorso è che l’auto elettrica soffre di un limite strutturale che è l’autonomia e per questo non è competitiva con quella dotata di motore a combustione interna. Per questo l’auto elettrica sarà – nella visione di Hyundai – qualcosa di diverso, che seguirà solo utilizzi particolari come quello cittadino all’interno di flotte per aziende o enti statali. Grande fiducia c’è invece nell’idrogeno: "Nel quale, a differenza di altri, abbiamo continuato ad investire senza sosta".

ATMOSFERA DI LAVORO RILASSATA, MA ATTENTA
Attraversando i lunghi corridoi del centro di Namyang il silenzio è assoluto, le persone che vi passeggiano poche, ma il loro stile assolutamente informale e il loro ritmo tutt’altro che frenetico. La libertà e la disponibilità con la quale possiamo muoverci è apparentemente assoluta, ma intorno abbiamo una cortina di sorrisi che non ci lascia allontanare di un metro e una vettura della sorveglianza ci scorta in ogni trasferimento in bus tra i diversi edifici. All’esterno ci sono un grande centro sportivo e persino un recinto con cerbiatti. Intorno si intravvedono molteplici prototipi camuffati che vanno e vengono dall’adiacente campo prove del quale vi parleremo a parte. Qui si lavora anche sullo stile, le scocche e la sicurezza alla quale sono dedicate risorse importanti come un impianto per crash test e un parco manichini impressionante, soprattutto se ce li fanno trovare in gran parte tutti allineati come soldatini: circa 150 di ben 27 tipi diversi tanto che c’è anche quello che simula la donna incinta e hanno persino le scarpe. Ognuno costa 20mila dollari in media e vengono impegnati in circa 1.000 crash test e 8-900 simulazioni virtuali all’anno. Assistere ad un crash test è sempre impressionante, ma estremamente istruttivo, soprattutto se avviene in un ambiente illuminato a giorno e c’è la possibilità di analizzare le immagini con telecamere che riprendono tutto da diverse angolazioni a 3mila fotogrammi al secondo. È scoprendo con questi i metodi i piccoli segreti che si diventa grandi. E a Namyang c’è la sensazione che quelli di Hyundai siano a buon punto.

Come si lavora in una fabbrica coreana? Quando ci si interroga sul successo di una casa automobilistica, in particolare asiatica, i detrattori emettono sentenze molto simili: pagano poco, lavorano a ritmi vertiginosi in ambienti poco accoglienti, non hanno tutele sindacali o salariali. È d’obbligo poi evocare le famose differenza culturali. Quando però si ha la possibilità di toccare con mano, questi preconcetti è meglio lasciarli fuori. Durante il nostro viaggio in Corea, abbiamo visitato la fabbrica di Asan dove Hyundai produce dal 1994 al ritmo di 300mila unità all’anno suddivisi in 3 modelli (Grandeur, Sonata e Azera) non destinati al mercato europeo e 600mila motori, la metà evidentemente dedicata a vetture prodotte altrove. Asan non è certo l’impianto più importante di Hyundai, che è invece a Ulsan ed è la più grande fabbrica automobilistica al mondo visto che vi vengono prodotte oltre 1,5 milioni di pezzi all’anno.

SENSAZIONI A CALDO
La prima sensazione è lo spazio. Ce n’è in abbondanza tra le linee operative, nei corridoi e le aree di stoccaggio sono tutt’altro che affollate. Tutti i contenitori hanno un cartellino con codice a barre, fitti di numeri e sigle. È il sistema kanban inventato dalla Toyota e assunto – in modalità e tenori diversi – un po’ da tutte le case. Qui però gli stock, pur se ridotti, sono più abbondanti: si parla di un giorno e mezzo di autonomia nel caso un fornitore o un reparto avessero un problema. Ogni vettura è accompagnata sia da un foglio con tutte le specifiche sia da un microchip che comunica con la linea per regolare l’approvvigionamento just-in-time. La seconda sensazione è il rumore, ma solo perché siamo entrati nella zona delle presse. Di fianco all’ingresso ci sono rotoli di lamierato il cui peso è indicato al grammo: uno recita 15 e altre 6 cifre, l’altro 16 e compagnia bella. Vuol dire che pesano quelle tonnellate lì e, se si considera che servono 240 tonnellate di acciaio al giorno, vuol dire che di questi rotolini – prodotti dalla consociata Hyundai Steel – ce ne vogliono una quindicina per ogni levar del sole. Le presse, prodotte dalla Hyundai Precision and Ind., hanno una pressione che arriva anche a 5mila tonnellate e vanno senza sosta emettendo un clangore seguito da un tonfo. Il loro ritmo è di 57 pezzi al minuto e sembra che facciano tutto da sole perché a governarle ci sono solo 18 delle 600 persone che lavorano nell’intero impianto per ognuno dei due turni da 10 ore per 5 giorni alla settimana. Il resto lo fanno 330 robot.

COME SI LAVORA AD ASAN
All’uscita di lato ci sono 60mila pezzi che aspettano di essere trasportati attraverso nastri sistemati in alto. Non ci cono sistemi di trasporto automatizzati al suolo. In generale, i pezzi pesanti vengono mossi da macchinari, anche nei pressi delle stazioni di lavoro, mentre per quelli piccoli ci sono le mani umane. Il reparto di verniciatura è naturalmente offlimits perché tutto avviene in atmosfera controllata e ci dicono che qui i robot sono 68. Automazione elevatissima che invece non si ritrova negli altri reparti, in particolare nell’assemblaggio dove è solo del 14%. Anche qui il rumore si sente, inframmezzato da segnali sonori e musichette. Nei corridoi ci sono tabelloni luminosi, piccole insegne presenti nei tratti intermedi delle linee segnalano – tra le altre cose – i ritmi e le efficienze di quel segmento produttivo. Alziamo la testa su uno di questi e leggiamo 99.5: vuol dire che siamo a ritmo pieno, pienissimo. Il tutto costituisce il sistema di controllo auditivo, visivo e tattile. Anche questo è un principio squisitamente giapponese. La sensazione generale è quella di principi produttivi che non hanno una particolare specificità, ma comunque moderni, con una sola eccezione: gli addetti sono costretti per alcune operazioni a lavorare con le braccia sollevate, cosa che in alcuni impianti è già stata superata attraverso ponti che inclinano di lato l’intera vettura.

IL MOTTO E' "QUALITA'"
La qualità? È il motto dei coreani, ma anche in questo caso non c’è alcuna voglia di dimostrare nulla. I famosi circoli di qualità sulle linee non si vedono. Bacheche tappezzate di fogli con grafici e statistiche neppure. Evidentemente tutto questo avviene a parte o è centralizzato. Quel che è sicuro è che ogni vettura viene sottoposta ad oltre 2mila controlli. Ci sono 54 ponti di controllo mentre le misure e gli allineamenti sono verificati da 6 robot utilizzando il laser per misurare 136 coordinate. Dopo una breve verifica fatta da personale specializzato seguendo una lista di controllo, vengono inseriti due litri di benzina e le vetture passano nel tunnel provvisto di rulli che mettono alla prova gli organi meccanici, spruzzatori per saggiare le guarnizioni e la tenuta all’acqua dei componenti e infine speciali luci che evidenziano ogni particolare della carrozzeria. Un collaudatore accende la vettura portandola direttamente dalle linee ad una pista di prova attigua agli impianti per un test di circa 3 km prima della delibera finale.

CHI CI LAVORA DICE
Quanto guadagna un operaio? L’argomento ovviamente è delicato, ma il nostro accompagnatore alla fine dice che si parte da 15mila dollari annui, la media però è di oltre 17mila e ogni anno viene integrata con bonus e premi di produzione. A quanto si arriva? Abbastanza per un sorriso, però ci dicono che lo straordinario e il lavoro nei fine settimana è pagato il doppio. Strano a dirsi, lo stipendio non è necessariamente mensile, ma può essere pagato anche ogni due mesi. La forza lavoro è molto giovane: 42 anni di media, con un contratto che è nella quasi totalità a vita. I lavoratori temporanei sono pochissimi, mentre rappresentano una quota maggiore tra i fornitori. Per la pensione sono previsti diversi tipi di fondo e – udite udite – ci si ritira a 59 anni. È un altro mondo anche in questo e chissà cosa pensano di questo i nostri governanti e chi preme per innalzare l’età pensionabile anche per lavori usuranti come questo. Un’ultima domanda: ma che ci fate con tutto questo spazio? La risposta è a mezza bocca: ci prepariamo a produrre un quarto modello. Ma le bocche ridiventano cucite subito dopo o meglio, c’è uno scopo più impellente al quale dedicarle perché è già ora di pranzo: zuppa di zucca, vegetali vari in piccole porzioni e l’immancabile kimchi, ovvero pesce e verdure macerati insieme con spezie e peperoncino. Da precedere con the, mangiare con bacchette di metallo e accompagnare con vino di riso, rosato e delicatamente dolce. Tutto Made in Korea.

Industria pesante, impossibile immaginare "quanto" prima di visitare la Hyundai Steel, la realtà che fa della Hyundai Motor l’unico costruttore automobilistico ad avere praticamente in casa l’acciaieria per le proprie automobili, l’unica dedicata al 100% all’automotive. Fondata del 1953, la Hyundai Steel non è la costola di Hyundai, ne è la spina dorsale, anche i coreani la definiscono la terza gamba dopo le automobili e le costruzioni, in particolari quelle navali. Fatto sta che la Hyundai Steel sta ricevendo un investimento di 10 miliardi di dollari, e vistarla durante il nostro viaggio in Corea è un po’ come vedere il corpo del gigante in radiografia. Quattro sono gli impianti di produzione e noi abbiamo visitato quello di Incheon che è la seconda acciaieria più grande al mondo.

UN PONTE TRA LA COREA E IL MONDO
Incheon è il collettore che unisce la Corea al Mondo. Ci sono l’aeroporto internazionale cui fa riferimento Seoul e il porto più vicino alla capitale cui è unita con un sistema di trasporti che viaggia su lunghi ponti. Lo scalo marittimo è immenso, accerchiato in rada da una quantità incredibile di navi mercantili di grandi dimensioni che portano le materie prime alla più vivace delle Tigri. Tra queste ci sono le terre ricche di minerale che vengono depositate su una banchina scavata nel terreno lunga quasi 1,6 km, larga 60 e profonda 33 metri. Da qui il materiale viene trasportato da un sistema di nastri mobili lungo ben 35 km, facendo dapprima sosta in enormi edifici di stoccaggio. Alcuni sono a cupola e hanno una capacità di “appena” 1,3 milioni di metri cubi, altri sono a costruzione lineare e ospitano 1,9 milioni di metri cubi. Al loro interno sono divisi da paratie e le diverse tonalità di colore indicano le partite e le provenienze delle terre. Quelle più abbondanti – circa due terzi del totale – vengono dall’Australia e hanno l’aspetto di piccoli sassi rotondi mescolati a terriccio rosseggiante, quelle che vengono dal Sudamerica – Brasile in particolare, ma arrivano anche da Sud Africa, Usa e Canada – sono sassolini più grandi, leggeri ed omogenei nelle dimensioni. I coreani chiamano questo tipo di materiale pellett. E in effetti la fine che faranno è quella di entrare in un forno.

UN PASSO AVANTI AGLI ALTRI
Gli altoforni dove viene cotto l’acciaio sono due e sono ciclopici: 17 metri di diametro interno per 110 di altezza. Per alimentarli ci vogliono 400 miliardi di watt all’anno, all’80% ricavati da combustibili fossili, il resto da fonti rinnovabili tra cui le biomasse per l’8%. Le dimensioni influiscono anche sul costo dell’acciaio che dipende tuttavia per il 60-70% dal costo delle terre e – così ci dicono – contribuiscono alla qualità dell’acciaio, ma sono l’integrazione e il rapporto esclusivo con l’unico cliente a rivestire il maggior interesse. E non si parla solo di filiera di fornitura, ma di ricerca e di gestione della qualità. Il centro R&D della Hyundai Steel esiste dal 2007 e impiega 400 persone destinate a crescere nel numero fino 560 entro il 2015. Il motivo di tutto questo è che le specifiche dell’acciaio stanno assumendo un ruolo sempre maggiore nella progettazione. Il riferimento è agli acciai ad alta resistenza nei quali Hyundai crede fortemente perché al momento è l’unico tipo di materiale che può essere modellato alla perfezione e a costi competitivi per ottenere le forme e le caratteristiche strutturali desiderate. Se poi c’è un problema, i tecnici della Steel e della Motor si siedono allo stesso tavolo, ma l’aspetto fondamentale è che i progettisti di Seoul possono dire a quelli di Incheon con precisione l’acciaio del quale hanno bisogno mentre gli altri costruttori possono scegliere solo da un catalogo limitato a un listino pressoché fisso. Se poi si considera che il ciclo che coinvolge lo sviluppo di un nuovo tipo di acciaio necessita di 4 anni, si capisce che i coreani hanno un vantaggio in termini di tempo e denaro che si tramuta in costi inferiori e maggiore libertà.

UN'EMOZIONE SCOTTANTE
La visita agli altoforni è sicuramente la parte più emozionante e fitta di sensazioni. Il fracasso all’interno dell’edificio nel quale gli impianti di fusione sono sistemati è assordante. Dalle fessure si intravvede la materia incandescente scorrere e, per farcela vedere meglio, ci sollevano il boccaporto che si trova all’uscita inferiore dell’altoforno. Sembra l’ingresso dell’Inferno e invece l’Inferno sta sotto i nostri piedi perché il pavimento in realtà è composto da lastroni di metallo al di sotto dei quali l’acciaio fuso scorre come un fiume in piena tra i ciottoli. Il calore è fortissimo, ma la sensazione è raggelante. Poco più in là parte la lavorazione dell’acciaio in lamine, con spessori da 1,2 a 25,4 mm, oppure in lastre dello spessore variabile da 6 a 200 mm. Tutto il sistema gira con uno stock di 30 giorni e la produzione totale nel 2012 sarà di 8,5 milioni di tonnellate. Con l’entrata in funzione del terzo altoforno nel 2013 si passerà a 12 milioni di tonnellate. Un salto del 43% che non può nascondere le ambizioni dei coreani. Fatti i conti, se la quantità attuale deve bastare per 7 milioni di auto, quella futura sarà sufficiente per farne altre 3 milioni. Non a caso, se i vertici di Hyundai Motor si guardano bene dal pronunciare le parole “numero uno”, il presidente e CEO di Hyundai Steel, Yoo-Cheol Woo le pronuncia eccome mentre insieme sorseggiamo una tazza di the. Lo fa forse perché tutto comincerà da qui, da quell’Inferno che ci correva sotto i piedi. Che abbiano fatto un patto con il diavolo? Con questo interrogativo lasciamo la Corea con il nostro nuovo bagaglio di conoscenza.



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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”