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11/06/2012 18:19 | |
Testo nascosto - clicca qui Il Purgatorio
L’affare delle Indulgenze non avrebbe avuto successo senza il dogma del Purgatorio: il conte di Lavagna Sinibaldo Fieschi (papa Innocenzo IV, 1253\61) comincia a insegnare che i defunti - In attesa del Giudizio di cui parla Cristo - subiscono un Giudizio particolare, un processo di primo grado in attesa della Corte d’Appello o della Cassazione (il Giudizio universale). Il conte di Lavagna insegna così a Cristo il “Codice di Procedura”: il giudice-Cristo, in primo grado, deve condannare a un periodo di detenzione in un luogo purgatorio, periodo che può essere accorciato grazie alle amnistie (indulgenze) concesse dal Papa, in attesa di un processo di secondo grado.
In sintonia con i Padri della Chiesa, la teologia ortodossa parla di uno stato intermedio dopo la morte, di beatitudine per i giusti e di tormento per i peccatori: uno stato ancora privo (prima del Giudizio Finale) di un carattere definitivo. Per coloro che sono morti con piccoli peccati inconfessati, o che non hanno portato frutti di pentimento per i peccati confessati in vita, si parla della purificazione di questi peccati o nella prova della morte, o attraverso l'intercessione della Chiesa (con la preghiera e le buone opere dei fedeli). Questa intercessione è in grado anche di dare una certa misura di sollievo ai tormenti dei peccatori destinati al castigo eterno, come testimoniano numerosi Padri e alcune preghiere pubbliche della Chiesa per i defunti (per esempio, la terza delle preghiere in ginocchio della domenica di Pentecoste, attribuite a San Basilio). Ogni perdono di peccati dopo la morte viene unicamente dalla bontà di Dio, con la cooperazione delle preghiere degli uomini, e senza bisogno di alcuna forma di "soddisfazione" o "pagamento".
La Chiesa cattolica romana era giunta, al tempo del concilio unionista di Lione, a considerare lo stato intermedio dei defunti prima del Giudizio Finale come definitivo e irreformabile. L'inutilità di pregare per i beati già perfetti, o per i dannati senza speranza, giunse a fare ipotizzare un "terzo stadio" di sofferenza limitata e purificatrice, dove anche i peccati già perdonati devono ricevere "soddisfazione". La tradizione ortodossa vede questa dottrina come qualcosa di essenzialmente estraneo alla fede apostolica, aggravata dall'assenza di riferimenti espliciti, nelle Sacre scritture, a uno stato che non sia quello della beatitudine dei giusti o del tormento dei peccatori.
Il Purgatorio nasce dalla concezione di una punizione ecclesiastica che deve necessariamente corrispondere a ogni peccato, in questa vita o nella prossima, e dalla nozione giuridica di opere supererogatorie (in eccesso rispetto al necessario per la salvezza), una dottrina sviluppatasi nella scolastica del XIII secolo, e confermata da Papa Clemente VI nel 1343. Questa dottrina per l'Ortodossia, non solo non è scritturale, ma addirittura in chiaro contrasto con le parole di Cristo (i "servi inutili" di Lc 17,10 non sembrano depositari di meriti sovrabbondanti). L'ideale di perfezione cristiana, del resto, è per i fedeli ortodossi così alto, che la sua stessa irraggiungibilità esclude a priori che si possa superarne la misura.
Infine, l'Ortodossia mantiene serie riserve sul contorno legalistico che il Cattolicesimo romano ha costruito attorno al Purgatorio, così come sulla pratica delle indulgenze (ovvero il trasferimento dei meriti sovrabbondanti di Cristo e dei Santi per colmare i debiti dei peccatori), che ne è il logico coronamento.
Il Peccato Originale
Per reggere, il dogma del Purgatorio aveva bisogno d’essere puntellato da qualcos’altro: non esiste, infatti, alcun passo della Bibbia che ne parli.
Allora si comincia a dire che l’uomo non è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, ma difettoso (come se Dio possa creare qualcosa d'imperfetto): Adamo è stato creato da Dio in modo tale da peccare inevitabilmente (“non poteva non peccare”) e Il peccato d’Adamo si trasmette a tutti gli uomini (non si sa se perché tutte le anime sono pezzetti dell’anima d’Adamo o, come un contagio, per via sessuale).
Il testo della Scrittura fu quindi manipolato: “A causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e, insieme al peccato, la morte; così la morte ha raggiunto tutti gli uomini perché tutti peccarono”. (“Adamo ha peccato e perciò tutti peccano”, s’intende come: “Adamo ha peccato e in lui tutti peccarono”).
La Sacra Scrittura (Romani 5, 12), in verità afferma: “Attraverso un solo uomo il peccato entrò nel mondo e, a causa del peccato, la morte. Così la morte ha raggiunto tutti gli uomini: perciò tutti peccano”.
L’Immacolata Concezione
Dopo aver creato il dogma del Peccato originale, ci si rende conto d’aver fatto un pasticcio: anche la Tutta Santa Madre di Dio era “difettosa”?
L'8 Dicembre 1854, con la bolla Ineffabilis Deus, il conte Giovanni Maria Mastai Ferretti (papa Pio IX, 1846\78) escogita allora un nuovo dogma: dichiara che Maria è nata in modo straordinario, senza peccato originale, diversamente da tutti gli uomini.
La pezza è peggiore del buco: infatti, il nuovo dogma non spiega che rapporto c’è tra noi e il nostro Salvatore, se Egli è nato da un essere alieno, del tutto diverso dagli altri uomini.
La Chiesa di Cristo ha definito Maria come la sempre Vergine e Madre di Dio, nel Concilio di Efeso (431). Essa non si stanca di cantarla “Tuttapura, intemerata, più venerabile dei Cherubini e senza confronto più gloriosa dei Serafini..” (Dalla Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo).
Tuttavia, Maria fa parte del genere umano, è stata concepita come ogni uomo per un atto di amore a tra Gioacchino ed Anna, quindi da seme umano, per questo è stata soggetta alle conseguenze del peccato fino al momento in cui ha detto a Gabriele il suo “si“.
Ci voleva Duns Scoto, grande antagonista di Tommaso d’Aquino per sostenere una simile enormità teologica della Immacolata Concezione, e ci voleva un Pio IX per proclamare il dogma. Questi i doni di un Papa, Pio IX alla sua Chiesa: “Infallibilità papale e Immacolata Concezione“, che sono serviti a far allontanare la Chiesa di Roma ancor più dalla verità, cioè dalla Ortodossia.
Papa Pio IX proclamò di propria autorità come dogma di fede cattolica una dottrina mariologica controversa: "La beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per grazia speciale di Dio onnipotente e per uno speciale privilegio, per anticipazione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia della colpa originale".
Di tale insegnamento non si ha alcuna traccia prima del nono secolo, quando Pascasio Radberto, abate di Corvey, espresse l'opinione che la Santa Vergine fosse stata concepita senza peccato originale. Questa opinione era forse dettata dal desiderio di non associare Maria alla visione agostiniana (particolarmente pessimistica) del peccato originale. Prima di Pascasio Radberto, nessun teologo latino (neppure Agostino stesso) aveva mai sostenuto che Maria fosse santa fin dalla concezione.
Il mondo latino medioevale fu profondamente diviso su questo punto: Bernardo di Chiaravalle, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, e la scuola domenicana avversarono la dottrina dell'Immacolata concezione, mentre Duns Scoto e la scuola francescana la sostennero e la propagarono. Neppure il mondo dei mistici cattolico-romani portò una voce unita sul tema: Brigida di Svezia e Caterina da Siena ebbero rispettivamente una rivelazione favorevole e una contraria alla dottrina. Fu solo nel 1475 che un papa (Sisto IV) approvò una funzione di culto che insegnava esplicitamente l'Immacolata concezione, pur senza renderla un articolo vincolante di fede. L'uso liturgico e il patrocinio papale favorirono la strada alla proclamazione del dogma.
La coscienza ortodossa, in generale, pur ammettendo che il desiderio alla base di questa dottrina è quello di rendere maggiore gloria alla Vergine Maria e alla sua purezza, sostiene che questa dottrina la sminuisca, piuttosto che esaltarla. L'Immacolata concezione scava infatti un abisso tra Maria e il resto del genere umano, e getta un velo sulla ricca tradizione patristica che narra della lotta della Madre di Dio contro le passioni e le tentazioni. Può essere inoltre la base di tendenze aberranti a mettere Maria sullo stesso piano della divinità.
L'Ortodossia lascia comunque la dottrina dell'Immacolata concezione nella sfera delle opinioni teologiche, e nessun ortodosso viene considerato eretico se vi crede. Di fatto, alcuni celebri teologi ortodossi, tra cui il Patriarca di Costantinopoli Giorgio Scholario (+1472) e il Metropolita di Rostov San Dimitri Tuptalo (1651-1709), si pronunciarono in favore della dottrina.
Un conto è però accettare un'opinione, altro è proclamarla come dogma di fede, a fronte di una totale assenza di testimonianze in tal senso nelle Sacre Scritture, nei primi Padri, e nella fede dei primi otto secoli della Chiesa. L'Ortodossia non può accettare la necessità di "migliorare" la tradizione apostolica introducendo nei suoi fondamenti (i dogmi) un insegnamento tardivo e conflittuale.
Il nuovo dogma del 1854 segnò un altro allontanamento del Cattolicesimo romano dalla tradizione ortodossa: fu infatti l'opportunità di esercitare per la prima volta una potestà che si era venuta ad attribuire al Papa di Roma nell'età moderna: quella di definire dogmi di fede non per autorità di un Concilio Ecumenico, né per suo incarico, ma ex sese (da se stesso).
L’Assunta
Il dogma del 1854 ha provocato un altro pasticcio: se la Vergine Maria non è una vera donna ma una specie di extra-terrestre, allora vuoi dire che non è morta, come muoiono tutti gli esseri umani e come è morto Cristo.
Il 1 Novembre 1950, con la Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus, Papa Pio XII proclamava il dogma dell'Assunzione corporea al cielo della Madre di Dio. Anche se la Chiesa ortodossa festeggia fin dal IV secolo la festa della Dormizione della Madre di Dio (e l'assenza di reliquie corporali di Maria fa pensare che tale festa fosse giustificata anche in data precedente), con abbondanza di apocrifi neotestamentari, di letteratura patristica e di testi liturgici a riguardo, tuttavia ci sono delle ragioni per una riserva ortodossa riguardo alla formulazione del dogma.
In primo luogo, la festa della Dormizione mette in esplicito collegamento l'assunzione corporale con la morte della Madre di Dio (secondo le narrazioni apocrife, fu proprio la scomparsa del corpo di Maria dal sepolcro dopo la sua sepoltura a generare la venerazione di questo evento): il dogma cattolico romano non definisce la morte di Maria, e l'opera preparatoria del dogma, La mort et l'assomption de la Vierge Marie, di P. Martin Jugie, mette addirittura in dubbio tale morte.
Inoltre, per la teologia ortodossa, l'Assunzione di Maria al cielo fu il frutto della sua maternità divina e della risurrezione di Cristo; la formulazione del dogma del 1950, invece, fa derivare l'Assunzione direttamente dall'Immacolata concezione di Maria (q.v.), per la quale si sollevano nuovamente le obiezioni teologiche ortodosse a riguardo.
Infine, si contesta la proclamazione di un dogma a fronte dell'assenza di una specifica eresia che, al tempo della proclamazione, minacciasse la fede della Chiesa: l'Ortodossia non ha mai conosciuto dogmi proclamati al puro scopo di "chiarire" aspetti dottrinali.
"La Vergine è stata assunta in cielo - si afferma - al termine della sua vita terrena". E’ una furbata, una geniale trovata: ognuno può credere come gli pare (al termine della vita = dopo la morte, oppure = invece di morire).
Apparizioni mariane
Le apparizioni mariane nel mondo ortodosso (ricordiamo la visione nella Chiesa delle Blacherne a Costantinopoli, che generò la festa della Santa Protezione, e gli innumerevoli episodi collegati alle icone mariane) sembrano indicare un'azione di custodia amorevole e silenziosa, del tutto conforme all'immagine di Maria offertaci nei Vangeli. Questo potrebbe spiegare la diffidenza con cui la coscienza ecclesiale ortodossa valuta le apparizioni mariane che la Chiesa cattolica romana ha autenticato nel corso degli ultimi due secoli.
La quantità di messaggi e "segreti", rivelati a veggenti per lo più in età tenera e impressionabile, è di per sé sospetta per la sensibilità ortodossa, così come alcuni contenuti teologici. Un esempio tra questi ultimi è il tema delle preghiere e sofferenze "riparatrici," di cui spesso si parla in tali visioni. Una simile prospettiva, nell'ottica ortodossa, denigra l'idea dell'offerta del nostro Signore per noi con il suggerimento che la nostra sofferenza supplisca in qualche modo per gli altri ciò che manca nella sua offerta di Se stesso. Qui siamo molto vicini alla delusione blasfema di pensare che noi possiamo salvare gli altri con le nostre preghiere e sofferenze, mettendoci in tal modo al posto di Cristo. San Pietro di Damasco esprime la comprensione ortodossa quando dice: "noi non osiamo chiedere l'intercessione a nome di tutti, ma solo per i nostri peccati."
Essenza ed Energie
I Padri della Chiesa, di fronte al problema della conoscibilità di Dio, furono molto attenti a distinguere tra un'essenza inconoscibile di Dio (che salvaguarda la sua differenza ontologica con l'uomo e il resto del creato) e le sue energie divine (increate, e fonte della comunicazione di Dio all'uomo). La distinzione tra essenza ed energie è uno degli insegnamenti più profondi dei Santi Padri sulla deificazione dell'uomo, e offre una spiegazione sulla natura della visione di Dio e delle esperienze spirituali.
Tale insegnamento fu rigettato dalla scolastica occidentale, che fece propria una dottrina della "visione dell'essenza divina" che Padri del calibro di San Basilio e San Giovanni Crisostomo avrebbero definito una bestemmia.
Nonostante recenti rivalutazioni della teologia patristica in materia di essenza ed energie, ancora nel recente Catechismo della Chiesa Cattolica (§ 1023), lo stato di beatitudine è chiamato "visione dell'essenza divina".
Giuridismo
Nella loro ricerca di una fede sincera e di una autentica bontà, che vadano a fondo nell'anima, gli ortodossi non possono sentirsi a casa propria vedendo il modo in cui il Cattolicesimo romano disciplina l'uomo esteriore, con una catalogazione di azioni "di precetto", "proibite", "permissibili", "perdonabili", "imperdonabili"; di peccati "mortali", "gravi", "veniali"; e così via.
L'Ortodossia sottolinea sempre l'aspetto spirituale della relazione tra l'anima e Dio, e tutti i sacramenti e la disciplina della Chiesa sono ordinati al fine di ristabilire questa relazione nella sua pienezza: la loro trasformazione in "leggi" nettamente definite e valide per tutti è vista come un tentativo di sostituire, con la genialità umana, una pienezza di grazia perduta.
Diritto canonico
Comprendendo nel suo seno popoli con tradizioni giuridiche molto diversificate, la Chiesa ortodossa non ha, a differenza di quella cattolica romana, un testo di diritto canonico unificato. Eppure, come per i libri liturgici (q.v.), esiste una ricca serie di collezioni di canoni, tra le quali emerge il Pedalion (timone) di San Nicodemo l'Agiorita, pubblicato nel 1800.
Si considerano normative per l'Ortodossia le collezioni canoniche dell'epoca dei sette Concili Ecumenici del primo millennio, nonché l'ampia raccolta del Concilio Quinisesto o Trullano, che è la più antica codificazione estesa del diritto canonico ortodosso.
L'ignoranza del diritto canonico ortodosso ha fatto spesso pensare, in Occidente, a un'Ortodossia "priva di regole". In realtà, le regole sono abbondanti e spesso di grande strettezza e rigore, anche se modellate su situazioni e necessità locali.
La recente promulgazione (1990) di un testo unico di diritto canonico per le chiese cattoliche di rito orientale è vista quanto meno con perplessità dagli ortodossi, che si chiedono come un'unica normativa uniforme possa adattarsi alle diverse usanze e situazioni storiche dei popoli cristiani dell'Oriente (una situazione aggravata dal fatto che il mondo cattolico orientale comprende Chiese di diversa origine, come quelle uscite dal mondo non calcedoniano).
"Due polmoni"
Il paragone che vede nell'Occidente e nell'Oriente i due polmoni del mondo cristiano, che pur nella loro distinzione respirano la stessa aria dello Spirito, proviene dalla stessa Sede romana, ed è frequentemente usato come paradigma di apertura ecumenica.
Forse la scelta della metafora biologica sarebbe stata fatta in modo diverso, se si fosse avuto sott'occhio lo stesso paragone fatto nel contesto ortodosso da San Teofane il Recluso nella sua omelia di Pentecoste del 1860. Ne riproduciamo il passo in questione, lasciando ai lettori ogni eventuale commento.
"Ciò avviene perché in una parte dell'umanità gli organi della respirazione sono danneggiati, e un'altra pare, una parte ampia, non è neppure esposta all'influenza di questo soffio salutare. Perché la respirazione abbia il suo pieno effetto sul corpo, infatti, è necessario che tutti i condotti dei polmoni siano integri e privi di ostruzioni. Allo stesso modo, perché lo Spirito Divino manifesti il suo pieno effetto, è necessario che siano integri gli organi che Egli stesso ha stabilito per la propria acquisizione; vale a dire, i Divini Misteri e i riti religiosi dovrebbero essere preservati esattamente così come vennero stabiliti dai Santi Apostoli, guidati dallo Spirito di Dio. Laddove questi riti sono danneggiati, il soffio dello Spirito Divino non è pieno; di conseguenza, manca del pieno effetto. In questo modo tutti i misteri papisti [papistov nel testo originale] sono danneggiati, e molti riti religiosi salvifici sono pervertiti. Il Papato ha polmoni incrostati e infetti."
Il Potere del Papa
Nel Medioevo la Curia pontificia diffonde un falso documento, la Donatio Costantini: san Costantino, il primo imperatore cristiano, avrebbe abdicato a favore del Papa; grazie a questo falso nasce lo Stato Pontificio. Conquistato dagli italiani nel 1870, il Regno del Papa (!) si riduce a pochi chilometri quadrati (la Città del Vaticano).
Spogliato del Potere temporale, il conte Giovanni Maria Mastai Ferretti (papa Pio IX) proclama allora come dogma il proprio Primato su tutte le Chiese del mondo e la propria Infallibilità. Tale dogma insegna che il Papa non sbaglia mai, per il fatto stesso che è Papa: anche se la Chiesa intera non è d’accordo (letteralmente: ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae).
Un dogma paradossale: la Chiesa - il corpo di Cristo - diventa un mostro a due teste: Cristo e il Papa.
Una bizzarra auto-certificazione: lo stesso Papa dichiara, con valore retroattivo, che il Papa è infallibile.
Un dogma senza fondamento sulle Sacre Scritture e sconosciuto dalla Tradizione, anzi smentito dalla storia: papa Liberio (352\5) scomunicò sant’Atanasio il Grande, rinnegando il I Concilio Ecumenico; Zosimo (417\8) fu costretto a scrivere una Lettera Tractoria, per ritrattare, smentire se stesso; Vigilio, eletto papa (536) da una fazione dissidente dal legittimo papa Silverio, per circa venti anni aderì a tutto e al contrario di tutto, firmando alternativamente dichiarazioni ortodosse e dichiarazioni eretiche, a secondo della convenienza politica del momento; Onorio (625\38) fu solennemente scomunicato come eretico dal VI Concilio Ecumenico (un tempo tutti i papi, al momento dell’elezione, rinnovavano la condanna del loro predecessore); nell’896 un Concilio presieduto da papa Stefano VI condannò come illegale il pontificato di papa Formoso (891\6): il cadavere di questi fu esumato e buttato nel Tevere... Senza ignorare che sino al 1451 i cattolici spesso si sono trovati ad avere contemporaneamente due, anche tre papi diversi, che si scomunicavano tra loro (perciò fu necessario inventare la distinzione tra papi e antipapi), trascinando in guerre sanguinose l’intera Europa Occidentale.
Infallibilità papale
Uno dei punti di fondamentale divergenza dottrinale tra cattolici romani e ortodossi è costituito dal dogma dell'infallibilità papale, sviluppato dalla teologia latina come conseguenza del dibattito sul primato della sede romana. La dottrina dell'infallibilità del singolo pontefice (e della conseguente irreformabilità dei suoi pronunciamenti) è assente nel primo millennio: sorse nel XIII secolo, per opera della scuola francescana di Pietro Olivi (la ragione che questa scuola aveva per difendere l'irreformabilità delle decisioni papali era, molto prosaicamente, una serie di decreti favorevoli all'ordine francescano: è degno di nota che lo stesso Papa Giovanni XXII, in disaccordo con le decisioni dei suoi predecessori, non esitò a scagliarsi contro la dottrina dell'infallibilità nella decretale Quia Quorundam del 1324).
Avendo proclamato di propria autorità (seppure in seguito alla consultazione dell'episcopato cattolico) il dogma dell'Immacolata concezione nel 1854, Pio IX si era appropriato il diritto di cambiare autocraticamente l'insegnamento della Chiesa romana, e dando alla propria voce un peso superiore a quello delle Sacre scritture e della Tradizione. La diretta conseguenza fu, nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I del 1869, la dichiarazione dogmatica dell'infallibilità dei pronunciamenti solenni del pontefice romano in materia di fede e di morale.
La nozione di infallibilità non è estranea al mondo ortodosso, però vi resta limitata alle Sacre Scritture e al contenuto dogmatico dei Concili Ecumenici, in quanto espressione della voce della Chiesa: anche questi ultimi, perché la loro infallibilità venga riconosciuta, hanno bisogno di una ratifica reale da parte dei fedeli. Mai, nel corso della storia della Chiesa ortodossa, si è investito dell'infallibilità un singolo individuo, tanto meno come situazione stabile, di diritto.
I difensori dell'infallibilità papale continuano inoltre, agli occhi degli ortodossi, a non riuscire a risolvere l'impasse della condanna postuma di Papa Onorio I come eretico (monotelita), sia per decreto del Sesto Concilio ecumenico (Costantinopoli III, anno 680), sia del suo successore, il Papa San Leone II (anno 682). I tentativi di comporre questo contrasto comprendono le seguenti affermazioni:
1) L'insegnamento di Papa Onorio non era solenne ("ex cathedra").
2) Le dottrine di Papa Onorio furono fraintese dai suoi accusatori.
3) L'insegnamento (per la sua vaghezza) era imprudente piuttosto che eretico.
La prima risposta lascia la questione irrisolta, perché quand'anche l'insegnamento di Papa Onorio non fosse stato solenne, la sua condanna come eretico lo è stata eccome (ed equivalente a un pronunciamento papale sulla fallibilità papale). La seconda e la terza soluzione, parimenti, pur scagionando Papa Onorio, gettano un'ombra di dubbio sul suo successore e su un Concilio ecumenico, e si avvicinano a un rigetto della loro autorità.
Il dibattito sulla solennità dei pronunciamenti papali si fa molto più acuto considerando l'importanza dei cambiamenti nel Credo (l'inserzione del filioque, condannata dai Papi Giovani VIII e Leone III, fu ratificata nel 1014 da Papa Benedetto VIII) nelle Sacre scritture (Papa Sisto V fece pubblicare una edizione latina delle Scritture, ordinando, sotto pena di anatema, che venisse considerata la più autentica; in considerazione di notevoli errori di traduzione, la Vulgata Sistina fu ritirata dall'uso ecclesiastico dai suoi successori) e nel culto (Papa Pio V vietò di modificare l'Ordinario della Messa di rito romano da lui promulgato).
Un'osservazione pratica che gli ortodossi amano fare al tema dell'infallibilità papale è che questo dogma rappresenta la sconfitta ultima del principio conciliare nella Chiesa, lasciando la conciliarità delle decisioni della Chiesa in balìa di un'autorità fondamentalmente priva di controllo.
Dal rifiuto delle definizioni del Concilio Vaticano I sul primato papale, si comprende come l'Ortodossia non si senta di accettare alcun tipo di definizione che voglia indicare nel papa di Roma un capo supremo della Chiesa.
Già il termine "pontefice" (un prestito dal paganesimo, sul quale Tertulliano ironizzava) è visto come una forzatura, mentre l'espressione Vicario di Cristo (un termine originariamente impiegato dai re carolingi, e in seguito avocato ai papi), è vista come assolutamente inconcepibile (a ben vedere, fa pensare a una "vacanza", o carenza, dell'autorità di Cristo sulla Chiesa, ed è un vero e proprio insulto nei confronti delle parole di Cristo sulla sua presenza costante nella Chiesa).
Primato di giurisdizione universale
Oltre all'infallibilità papale (q.v.), il concilio Vaticano I promulgò una definizione dogmatica riguardo al primato papale, meno nota di quella dell'infallibilità, ma altrettanto inaccettabile agli occhi della tradizione ortodossa. Si tratta della giurisdizione universale del pontefice romano, che fa del Papa di Roma, per il fatto stesso della sua elezione al soglio pontificio, una sorta di super-Ordinario universale, superiore di diritto a qualsiasi vescovo. Ne consegue che, per la concezione cattolica romana, un vescovo è vescovo della Chiesa cattolica solo in virtù della sua comunione con il papa. Quest'ultimo diventa il solo vescovo in senso proprio, e tutti gli altri i suoi vescovi vicari, in diretto conflitto con i canoni della Chiesa, che apertamente vietano l'interferenza di un vescovo nella giurisdizione di un altro, eccetto che per ben definiti rimedi conciliari (simbolicamente, un corpo con due capi visibili è un mostro).
L'Ortodossia vede in questa forma di primato la costituzione di un vero e proprio Ordine sacro al di sopra dell'episcopato, un Ordine non istituito da Cristo, e senza precedenti nella storia cristiana; non cessa quindi di richiamare la sede romana al sobrio modello dello stesso Papa Gregorio Magno, che giunse a rimproverare il Patriarca di Costantinopoli perché aveva accettato dall'imperatore il titolo di "Patriarca ecumenico" (in verità, non per elevare la sua giurisdizione, ma per sottolineare il fatto che Costantinopoli era la capitale dell'impero), laddove, a suo dire (Libro V, Lettera XVIII), nessuno degli apostoli o dei predecessori di San Gregorio nella sede romana aveva mai vantato un rango universale...
Il Potere del Papa (2)
Nel messale romano, nelle preghiere di suffragio ai papi defunti ed ufficialmente nel giuramento di obbedienza di san Bonifacio verso il papa Gregorio II, vennero introdotti titoli come Vicario di Pietro, Vicario del Principe degli Apostoli o Vicario della Sede Apostolica. L'intitolazione come «Vicario di Cristo» per i papi divenne regolare solo dal XIII secolo, in seguito alle riforme del papa Innocenzo III, che reclamò la prerogativa di nominare i vescovi del Patriarcato latino. Nell'Annuario Pontificio, «Vicario di Gesù Cristo» è il terzo titolo ufficiale del vescovo di Roma.
La Chiesa di Roma ha quindi, nel tempo, elaborato parzialmente ed astutamente la sua “Petrologia“; scalza “il Fondamento che è Gesù Cristo, Colui che respinge sdegnosamente il regno di questo mondo“, ed aiutata dai teologi pone un altro fondamento: “la persona di Pietro Vicario di Gesù Cristo“. Come logica conseguenza, anche del concetto errato di Chiesa, ecco l’affermazione della “giurisdizione universale per diritto divino“ del Vescovo di Roma.
L’inutile tenda che Pietro voleva costruire sul Tabor diventa finalmente una realtà.
Il Vescovo di Roma ora tiene fermamente in mano i “due poteri”, quello spirituale e quello temporale: Il mondo cattolico - romano ha finalmente il suo “idolo“ che le folle idolatre acclamano: più di un vescovo, più di un re, più di un imperatore, un pari a Dio:
Il cardinale Bellarmino giunse a dire e scrivere: "se il Papa dice che una cosa buona è cattiva è cattiva, se il Papa dice che una cosa cattiva è buona è buona, perché il Papa è più di Dio".
L’equivoco fatale di “Pietro Pietra “ ebbe volutamente in Roma il sopravvento!
All’orizzonte si profila l’esito tragico di questo equivoco che ha distrutto l’ecclesiologia tradizionale, patristica, quella di Cristo. “ Il mio regno non è di questo mondo “ aveva detto. I regni di questo mondo sono una illusione satanica. Gli antichi Padri della Chiesa ignorano totalmente questa abnorme novità. Come può un uomo sulla terra essere considerato Capo della Chiesa che è presente in terra e nei cieli?
Dobbiamo forse deformare l’immagine di S. Paolo che paragona la Chiesa a un corpo il cui Capo è Cristo? Come può la Chiesa essere un corpo bicipite? Sarebbe solo un mostro! Il Papa in terra e Cristo nei cieli? Come non comprendere la assurdità blasfema di questa immagine dottrinale da secoli imposta ai cristiani d’occidente?
Si è voluto ad arte dimenticare che Pietro fu alla testa della Chiesa di Antiochia? Al tempo di Cristo questa Sede era la capitale della Provincia d‘Oriente dell’Impero Romano. Proprio ad Antiochia perdiamo le tracce dell’Apostolo Pietro. Sappiamo bene infatti dalla Sacra Scrittura che la Chiesa di Roma è stata fondata quasi sicuramente da Paolo, e sicuramente la diretta lui come risulta dagli Atti degli Apostoli e soprattutto dalla Lettera ai Romani che egli stesso aveva evangelizzato dirigendo poi come Vescovo.
Se il primato è un privilegio del successore di Pietro, a chi spetta allora questo privilegio?
Al Papa di Roma o al Patriarca di Antiochia che ne possiede certamente la successione nella Cattedra? I centri visibili della Chiesa si spostano con il succedersi degli avvenimenti storici, ma solo il Cristo Capo indiscusso ed Unico.
La Chiesa fondata da Cristo fu definita nel IV Concilio Niceno - Costantinopolitano nel 325 e nel 381: UNA, SANTA, CATTOLICA, APOSTOLICA (Cattolica nel senso di sinodale e universale, non di romana).
Questo Credo che solamente nella Chiesa Ortodossa è ancora professato in tutta la sua purezza originale, è la ricapitolazione delle verità fondamentali della Fede vera, cioè Ortodossa della Chiesa.
I Santi Padri dei primi Concili hanno voluto proteggere l’inestimabile tesoro della Fede, il Credo, da ogni violazione. I Santi Canoni (regole di fede) stabiliscono che chiunque osi alterare, sia in minima parte il sacro testo, con aggiunte o sottrazioni, sia anatemizzato, la pena più terribile che la Chiesa possa infliggere a un fedele o a una Comunità o Chiesa Locale.
Roma antica e moderna
Le particolarità del sistema statale dell'antico Impero romano sembrano avere lasciato sull'attuale Chiesa di Roma una traccia ben più che folcloristica.
Nella Roma pagana, lo Stato aveva un'enorme significato nella vita e psicologia dei cittadini, la virtù del patriottismo era la principale, la sottomissione alla disciplina dello stato era assoluta, e la "pax romana" era l'ideale da esportare a tutti i popoli; era addirittura impensabile, in tale contesto, di sottrarsi alla sovranità romana.
Lo sforzo per la creazione di un centro unico e sovranazionale portò nell'Occidente cristiano allo sviluppo di una mentalità prevalentemente giuridica. Di converso, lo scarso interesse che gli antichi romani avevano per le questioni di verità dogmatica si riflette nella relativa indifferenza dell'Occidente per i dibattiti teologici che per i primi secoli animarono l'Oriente.
Tale mentalità, che esercitò comunque un ruolo complementare a quella dell'Oriente cristiano nel primo millennio, si sarebbe fatta in seguito più pesante per la persistenza di ruoli di assolutismo monarchico nella Sede romana.
Sedi apostoliche
Il "ministero petrino" del Cattolicesimo romano, e la stessa definizione di Roma come "Sede Apostolica", si fondano sulla successione dei Papi di Roma sulla sede dell'Apostolo Pietro.
Occorre forse prestare maggiore attenzione alla distinzione tra apostoli e vescovi: anche se nella comprensione ortodossa, così come in quella cattolica romana, non c'è dubbio che i vescovi siano i successori degli apostoli, la teologia ortodossa offre una distinzione più netta dei due ruoli. Gli apostoli, inviati da Cristo ad annunciare il Vangelo a tutte le nazioni, avevano un ruolo missionario (non a caso la Chiesa ortodossa definisce i Santi missionari ed evangelizzatori di intere nazioni come "uguali agli apostoli"): i vescovi, invece, assegnati a sedi stabili, avevano un ruolo residenziale. Solo uno degli apostoli è considerato vescovo a tutti gli effetti: si tratta di Giacomo, che incidentalmente fu l'unico degli apostoli a non andare in missione, rimanendo a custodire la comunità di Gerusalemme. Se gli apostoli fondatori di sedi storiche sono messi in cima alle tavole della successione apostolica, lo sono solo in qualità di iniziatori di particolari linee episcopali, e non perché certi privilegi "apostolici" devono essere tramandati ai vescovi di tali sedi. San Pietro, per esempio, è in cima alle liste di successione apostolica di due sedi: Antiochia e Roma.
Nella teologia cattolica romana (per comprensibili motivi, dovuti alla ricerca di una continuità di privilegi apostolici della sede romana) la distinzione tra apostoli e vescovi è più sfumata.
Cesaropapismo
Tra le più frequenti accuse rivolte dai cattolici romani all'Ortodossia (e a tutto l'Oriente cristiano in generale) vi è quella di una forte ingerenza degli stati secolari (siano essi imperi cristiani, stati laici o regimi atei) negli affari interni della Chiesa (cesaropapismo). La posizione sopranazionale di Roma garantirebbe, secondo questa visione, una libertà dalle intrusioni statali nelle questioni religiose.
Occorre chiarire subito che quest'accusa non ha niente a che vedere con un eventuale pericolo per la purezza della fede: se così fosse, allora la controversia iconoclasta (ovvero la forzatura di un elemento estraneo alla fede apostolica da parte dello stesso potere imperiale) non avrebbe dovuto essere affatto una controversia in Oriente, mentre di fatto lo fu, e grande. La questione riguarda piuttosto diversi livelli di libertà di espressione e di culto, messi in pericolo da ingerenze statali.
Questa potrebbe risultare una divergenza più profonda e difficile da sormontare di quanto sembri, poiché alla base stanno due idee totalmente antitetiche dell'atteggiamento che i cristiani dovrebbero avere di fronte al mondo. Il contrasto potrebbe essere espresso, in modo forse semplicistico ma chiaro, nel dilemma: "è meglio asservirsi allo Stato o soppiantare lo Stato?" (Le due alternative rappresenterebbero i rispettivi punti deboli dell'Oriente e di Roma).
Ovviamente, è impossibile rispondere in modo generalizzato: gli ortodossi ritengono comunque che la costituzione di un centro ecclesiastico che si duplica come potere politico (la soluzione romana dello Stato della Chiesa, della rappresentanza diplomatica sovranazionale, e così via) sia assai più pericolosa che il dominio temporale di uno Stato transitorio, per quanto ostile.
Gli Scismi
La Chiesa ortodossa non ha mai avuto bisogno di modifiche: un cattolico non riuscirebbe a dir messa con un messale stampato 10 anni fa; un sacerdote ortodosso può celebrare con un “messale” scritto a mano 1.500 anni fa.
Dopo essersi separati dagli ortodossi, i cattolici sono stati costretti a fare continue riforme: quella di Gregorio VII è del 1073\85 e già nel 1209 c'è bisogno della riforma francescana; nel 1565 parte la riforma del Concilio di Trento e meno di quattro secoli dopo c’è già bisogno d’una nuova riforma...
Nonostante i continui aggiornamenti, i cattolici si sono separati tra loro in un numero infinito di gruppi: Valdesi, Anglicani, Evangelici... sino ad arrivare ai Mormoni o ai “Testimoni di Geova” che è persino difficile considerare cristiani; centinaia di “Fedi” diverse e in contrasto tra loro. Lo scisma per sua natura genera sempre l’Eresia: è fatale! E questa eresia scoppia nel Concilio locale di Lione (1274), ove l’eresia del “Filioque“ diventa dogma cattolico romano.
Quasi subito dopo lo scisma di Roma del 1054 avviene un fatto gravissimo: la teologia scolastica soppianta la teologia patristica; la teologia dei Padri deve cedere il posto ad una teologia razionalizzante aristotelica di: Anselmo di Aosta, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, ecc., che ne sono i paladini: per loro Aristotele è il filosofo che non si può contraddire.
Grazie alla sua perfetta centralizzazione, che la Chiesa di Roma ha ereditato dall’Impero Romano, essa stupisce il mondo per la sua potenza, una potenza più temporale che spirituale. Se si sottolinea la deformazione di una Chiesa che si dichiara cristiana e cattolica, ci si sente rispondere: “ma ci vuole un capo in terra, altrimenti succederebbe la confusione”
E’ il colmo della popolatria! E pensare che Cristo quando vollero farlo re, prese la fuga!
Dove è finita la autentica ortodossia della Chiesa di Roma testimoniata nei secoli con tanto sangue di Martiri? Quella di Papa Gregorio Magno che rimproverava fermamente l’Arcivescovo di Costantinopoli che si era fregiato del titolo di “Patriarca Ecumenico“? Confrontatelo con un Pio IX che ebbe la sfacciataggine di dire ed affermare: “la Chiesa sono io, io la Tradizione“.
Era ben piccola cosa la pretesa del Patriarca di Costantinopoli, anche se insensata, di fronte al Papa di Roma che si fa proclamare “Infallibile sopra tutti i Vescovi e i Concili“ dal Concilio Vaticano I°. Lo scisma e l’eresia hanno permesso una così grande follia.
Uniatismo
Se le tristi e complicate vicende dell'uniatismo (che sarebbe troppo lungo elencare qui) rappresentano una pagina buia per ogni tentativo di riconciliazione tra ortodossi e cattolici romani, ci si può chiedere a che pro vengano offerti esempi di santità che sembrano essere un aperto incoraggiamento all'incomprensione.
Tipico esempio è il vescovo uniata Josaphat Kuntsevich, canonizzato da Papa Pio IX il 29 Giugno 1867, ed esaltato da Papa Pio XI nel 1923 nell'enciclica Ecclesiam Dei come ieromartire, esempio di vita santa e aiuto nell'unificazione di tutti i cristiani. Ancora di recente Papa Giovanni Paolo II lo ha definito "Apostolo dell'unità".
La sua morte "da martire" ebbe luogo a Vitebsk il 12 Novembre 1623, dove si era recato assieme a un gruppo di suoi sostenitori per distruggere le tende dove gli ortodossi tenevano in segreto le loro funzioni. Dopo che uno dei suoi diaconi assalì un prete ortodosso, la folla inferocita si levò contro il vescovo, che guidava personalmente il pogrom, e lo uccise a colpi di sassi e bastoni. Il suo corpo fu chiuso in un sacco e gettato nel fiume Diva.
Poco prima della sua morte, il vescovo Kuntsevich aveva ordinato la riesumazione di ortodossi morti e ne aveva fatto dare ai cani i resti; in tutta la sua diocesi di Polotsky, a Mogilyov e Orsha, aveva saccheggiato e terrorizzato gli ortodossi, chiudendo e bruciando le loro chiese, vantandosi di atti quali annegamenti, decapitazioni e profanazioni di luoghi sacri.
Numerose voci si levarono da parte delle stesse autorità: tra i documenti spicca la lettera datata 12 Marzo 1622, un anno e mezzo prima della sua morte, inviatagli dal cattolico (latino) Leo Sapiega, cancelliere del Granducato di Lituania, rappresentante del Re di Polonia: una durissima condanna della sua oppressione del popolo ortodosso.
Per quanto anche la Chiesa ortodossa abbia canonizzato dei santi che nella loro vita avevano scelto deliberatamente di lasciare la comunione romana (tra di loro, Massimo il Greco e Alexis Toth), nessuno di questi si può avvicinare alla efferata crudeltà del vescovo Kuntsevich: anzi, almeno nel caso di Padre Alexis Toth, la conversione all'Ortodossia fu largamente provocata dall'atteggiamento vessatorio delle autorità romane.
Professione monastica
La professione monastica mantiene nella Chiesa Ortodossa un carattere di benedizione sacramentale, uniforme e analoga per tutti gli aspiranti alla vita "angelica."
Nella Chiesa cattolica romana sono stati introdotti nel periodo medioevale alcuni elementi esterni al monachesimo, che si sono fatti strada negli ordini religiosi (q.v.) fino ai giorni nostri. Per esempio, sotto l'influsso di ordini cavallereschi (q.v.), la professione monastica assunse alcuni elementi della cerimonia di vassallaggio: questi, pur esaltando alcuni aspetti del monachesimo, tra cui l'obbedienza, alteravano in modo sottile la tradizione monastica precedente.
Il cambiamento più notevole, influenzato dalla predicazione di Bernardo di Chiaravalle e Francesco d'Assisi, si ebbe nel tardo medioevo negli ordini religiosi femminili cattolici. All'enfasi sulla redenzione per mezzo della Risurrezione, si sostituì l'ideale della partecipazione emotiva alla Passione del Signore. Considerando Cristo come marito/amante mistico, il monachesimo femminile si caricò di immagini sponsali, con tanto di assimilazione del rito della tonsura alla cerimonia nuziale, con veli da sposa, anelli di matrimonio, e così via. Tale variazione crea un'arbitraria frattura tra la vita religiosa femminile e quella maschile, priva di dimensioni "sponsali" istituzionali, a discapito di quest'ultima (la disparità numerica tra religiose e religiosi cattolici romani ne è ancora oggi un risultato).
Mentre nell'Alto Medioevo la Chiesa cattolica romana impose gradualmente il costume del taglio della barba al proprio clero, nel mondo ortodosso si è mantenuto il costume di lasciare crescere barba e capelli, seguito in particolare dai monaci. Benché sia evidentemente un particolare esteriore ed estetico, seppure di origine apostolica, questo aspetto del monachesimo e del clero ortodosso costituisce un istintivo richiamo all'immagine di Cristo e degli apostoli.
Rosario
La coroncina di grani utilizzata come supporto per la preghiera è presente sia tra i cattolici che gli ortodossi, ma con grandi differenze tra gli uni e gli altri. Queste differenze riguardano più la modalità della preghiera associata alla coroncina che non l'oggetto stesso.
Il rosario ortodosso (che sarebbe forse tecnicamente più appropriato chiamare "corda da preghiera") non ha una lunghezza fissa (i modelli più comuni hanno 33, 50 o 100 "grani"), è generalmente fatto di lana annodata, in rari casi di cuoio (non facendo rumore, è adatto per la preghiera mentale e silenziosa), e non viene usato in forme di preghiera pubblica.
La tradizione del rosario nel cattolicesimo romano associa la coroncina a una forma di concentrazione su immagini della vita di Cristo e di Maria. Come avviene in molti metodi di meditazione (q.v.) cristiani occidentali, con questo approccio si incoraggia attivamente l'uso dell'immaginazione, che i Padri indicavano come una pericolosa fonte di errori e inganni: le distrazioni e i pensieri vaganti vengono facilmente camuffati dalla nostra immaginazione sotto la veste di "meditazioni" sugli eventi della storia sacra, così come se li raffigura la persona che prega. I Santi Padri insegnano, piuttosto, a essere sempre cauti con l'immaginazione, a cercare di controllarla, e non di svilupparla.
La corda da preghiera ortodossa è differente dal rosario, sia nella formulazione delle preghiere (è fondamentalmente associata alla cosiddetta "preghiera del cuore", o preghiera di Gesù, che è una variante della preghiera del pubblicano nel Vangelo di San Luca: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore"), sia nel suo proposito, che è quello di aiutare la persona che prega a focalizzarsi più attentamente sulle parole della sua preghiera (attraverso il supporto fisico del gesto della mano che fa scorrere i nodi), e a trattenere i suoi pensieri dalle distrazioni.
Ordini cavallereschi
Nell'ortodossia storica gli ordini religiosi cavallereschi brillano per la loro assenza. (Non sarebbe onesto definire "ordine cavalleresco", per esempio, l'aberrazione degli oprìchniki, la guardia privata dello Zar Ivan IV il Terribile, in cui si giunse talvolta a parodie della vita monastica; neppure alcuni ordini nobiliari tuttora esistenti nella Chiesa ortodossa possono rientrare in questa categoria, perché si tratta di onorificenze civili e non di ordini religiosi).
Può sembrare strano, visto il forte carattere monastico della spiritualità ortodossa, e il sentimento di rispetto che le nazioni ortodosse hanno sempre mostrato per l'esercito e i difensori della patria, che non si sia sviluppata una figura di "monaco guerriero" pari a quelle del Medioevo latino.
Bisogna ricordare, tuttavia, che rimane ancora forte il risentimento degli ortodossi per le crociate, che furono la culla di questi ordini (e che causarono innumerevoli stragi, sacrilegi e distruzioni nell'Impero bizantino), e, soprattutto, che il monaco ortodosso, nel suo rifiuto del mondo, rifiuta anche l'illusione di poter migliorare le sorti dell'umanità con una azione concertata di stile gerarchico-militare.
Ordini Maggiori
Fin dai primi secoli, la Chiesa ha suddiviso il sacerdozio ministeriale in tre gradi o funzioni, chiamati Ordini maggiori: quelli di diacono, di presbitero (= prete) e di vescovo. Altre funzioni ministeriali, come quelle dei suddiaconi (di cui si ha notizia già nel III secolo), dei lettori e dei cantori, venivano considerate come "Ordini minori", non istituiti da Cristo. La stessa "imposizione delle mani" (il gesto rituale che accompagna ogni ordinazione) viene tuttora definita nella Chiesa ortodossa con due termini diversi (chirotonìa e chirotesìa), a seconda che si tratti di ordinazioni maggiori o minori.
La Chiesa romana, dalla fine del XII secolo, ha voluto far rientrare l'ordine minore del suddiaconato nel novero degli Ordini maggiori. Per salvaguardare la dottrina dei tre gradi del sacerdozio, ha dovuto sostenere che gli Ordini maggiori fossero quelli di suddiacono, diacono e presbitero, escludendone quello del vescovo, visto come funzione di "pienezza" del potere sacerdotale.
La recente riforma liturgica della Chiesa cattolica romana ha visto la soppressione dell'ordine del suddiaconato, senza dubbio al fine di operare un ritorno all'antica tradizione, ma con la conseguente illogica scomparsa di quello che era stato per secoli un Ordine maggiore.
Ordini religiosi e monachesimo
L'Oriente conosce un solo "ordine" monastico, il monachesimo integrale (per quanto questo sia vissuto in diversi gradi di intensità, dal noviziato fino allo stato del "grande abito", corrispondente alla vita monastica "di stretta osservanza").
L'Ortodossia pertanto, pur avendo una grande varietà di monasteri e di modalità di vita monastica (vita comune, anacoretismo o eremitaggio, vita in piccoli nuclei fraterni) non ha nulla di simile agli "ordini" religiosi cattolici. Talvolta si definisce "monachesimo basiliano" lo stato monastico ortodosso (dalla regola di San Basilio, uno dei primi codificatori della vita monastica comunitaria), ma il termine è una forzatura, e in senso stretto dovrebbe applicarsi solo ai non numerosi nuclei di monaci cattolici di rito bizantino.
La "specializzazione dei carismi", tanto tipica degli ordini religiosi cattolico-romani, fino ai nostri tempi, ha fatto sorgere ordini esplicitamente votati ad aspetti isolati della vita religiosa (e tipicamente della vita religiosa attiva, come la predicazione o l'assistenza agli infermi). Questo costume ha creato in effetti dei compartimenti stagni di spiritualità, portando la vita religiosa sempre più lontano dall'antica esperienza monastica integrale.
Movimento carismatico
La reazione di cattolici e ortodossi al movimento carismatico moderno è un ennesima riprova di una profonda differenza di valutazione degli stessi fenomeni.
Di fronte all'ondata di risveglio pentecostale, originatasi per lo più in ambiente protestante, la Chiesa di Roma, dopo un periodo di diffidenza iniziale, verso la fine degli anni '60 ha aperto le porte alla religiosità di tipo carismatico, incoraggiando la formazione di movimenti carismatici nel proprio seno.
L'Ortodossia, d'altro canto, non ritrovando paralleli accettabili nella tradizione patristica e ascetica della Chiesa, vede il movimento carismatico come una delle tante "nuove spiritualità", più o meno deviate, del mondo moderno. Inoltre, per gli ortodossi, fare propria una realtà di "risveglio" che nasca al di fuori della pienezza della Chiesa (la tradizione ortodossa) equivale ad accettare una nuova rivelazione che, di fatto, trascende la Chiesa.
E così, mentre nel Cattolicesimo romano i movimenti carismatici, con l'avallo della gerarchia, moltiplicano le esperienze di una spiritualità sempre più estranea alla tradizione cattolica, i rari tentativi di importare un risveglio carismatico nella Chiesa ortodossa vengono per lo più visti come infiltrazioni di una concezione eterodossa della Chiesa.
Il primo inizio di movimento carismatico ortodosso, avviato in America su iniziativa di un prete greco, Padre Eusebios Stephanou, si è concluso con la completa abiura del promotore, che ne ha riconosciuto la fallacità.
Chiese sorelle
Una vasta polemica è stata sollevata in anni recenti dall'uso sconsiderato del termine "Chiese sorelle", per indicare le realtà ecclesiali cattolica romana e ortodossa alla ricerca di unità.
Per la mentalità ortodossa, la fratellanza significa anche comunione nella stessa fede, e non solo condivisione di un cammino di dialogo e di ricerca di unità. Le uniche chiese che un ortodosso può in piena coscienza chiamare "sorelle" sono le diverse Chiese autocefale dell'ecumene ortodosso, e anche queste, comunque, nella coscienza che si tratta di realtà locali dell'unica Chiesa. Chiamare "sorella" una comunione ecclesiale separata dalla Chiesa Ortodossa equivale a un cedimento rispetto alla confessione della Chiesa Una, e a un tradimento del Simbolo di fede.
Allo stesso modo, gli ortodossi avvertono improprietà nell'uso del termine "Chiesa indivisa" per indicare l'ecumene cristiano del primo millennio (il termine dovrebbe presupporre l'esistenza di una "Chiesa divisa" nei secoli successivi, affermazione che è in contraddizione con la fede proclamata nel Credo).
Una terminologia ben più appropriata sarebbe quella relativa ai "cristiani divisi", o alla fratellanza tra i medesimi, nella ricerca dell'unità di fede.
Unità e uniformità
Una vera unità nella fede può accomodare numerose forme diverse di esprimere detta fede: su questo punto generale, Ortodossia e Cattolicesimo romano coincidono.
Esistono numerose difformità nel culto ortodosso, derivate per lo più da usi locali: queste comprendono, per esempio, l'inclusione o l'omissione di certe formule di preghiera all'interno di una data funzione (o l'inversione dell'ordine di alcune preghiere), diversità di titoli clericali e gerarchici, cambiamenti nel posizionamento di icone o di arredi sacri all'interno della chiesa, differenze di pratiche devozionali e di forme di digiuno o ascesi.
Non si trova mai, tuttavia, un bi-polarismo simile a quello della Chiesa Cattolica Romana nel suo tentativo di armonizzare riti orientali e occidentali: un esempio è la ricezione della comunione da parte dei bambini piccoli, vista come "svantaggio" tra i cattolici occidentali e come "vantaggio" presso i cattolici orientali.
Concili di riunione
Le aspirazioni ecumeniche cattolico-romane ripropongono regolarmente le soluzioni di unione con l'Oriente che furono tentate con i Concili di Lione (1274) e di Ferrara-Firenze (1438-39). Le formule di questi ultimi (ritenuti Concili Ecumenici dal Cattolicesimo romano) furono vigorosamente respinte dall'ecumene ortodosso, e la loro rivisitazione in chiave contemporanea sembra portare a scontati risultati negativi.
Il problema con le formule di unione di Lione e Firenze è che queste costituiscono una non-soluzione, dal punto di vista dell'unità di fede. Le loro conclusioni - che entrambe le parti possono mantenere le rispettive differenze dottrinali e rituali in una reciproca legittimazione - sono per l'Ortodossia una rinuncia alla professione di una fede unica.
Una proposta più interessante per gli ortodossi sembra quella di lavorare per un'unione sulla base del Concilio di Costantinopoli dell'879-880, tenuto sotto il Papa Giovanni VIII e il Patriarca Fozio. Questo concilio, che rovesciò le decisioni del concilio "ignaziano" o "anti-foziano" dell'869 (ritenuto oggi dai cattolici romani l'Ottavo Concilio Ecumenico), resta l'ultimo concilio in cui si testimoniò la comune fede ortodossa dell'Occidente e dell'Oriente. Esso riconobbe Roma e Costantinopoli come supreme nella propria sfera, senza alcuna "giurisdizione romana" su Costantinopoli. Ripudiò unanimemente il filioque (q.v.), e portò alla completa reintegrazione di San Fozio nel suo ruolo patriarcale.
Questo concilio presenta dei problemi agli occhi degli apologeti romani. L'Occidente considerò questo concilio, se non come ecumenico, per lo meno come un sinodo autorevole approvato da Roma. L'Oriente lo vide come ecumenico, poiché vi concorsero tutti i criteri presenti nei concili precedenti: convocazione imperiale e presenza di tutti e cinque i patriarcati maggiori. Gli atti di questo concilio seguono sempre gli atti degli altri Sette nelle collezioni ortodosse di diritto canonico. Per due secoli, il concilio dell'869-870 espresse la fede comune di Roma e dell'Oriente.
Non fu che con la Riforma gregoriana che le cose cambiarono di nuovo in Occidente. Il concilio "ignaziano" fu riconosciuto come il vero Ottavo Concilio Ecumenico. Nessuna giustificazione fu mai addotta da Roma per spiegare questa soluzione di continuità. Ovviamente, anche le tavole d'argento con il Credo comune (senza filioque), appese a Roma in San Pietro, caddero dalla loro sede, e con loro cadde simbolicamente la fede comune dell'Oriente e dell'Occidente cristiano.
Purtroppo, l'esito finale del concilio dell'869-870, con il mutamento di riconoscimento dopo due secoli di accettazione, non rassicura troppo l'Oriente sulle pretese romane di stabilità dottrinale.
Concilio ecumenico: quali requisiti?
Perché si possa parlare di Concilio ecumenico, la Chiesa ortodossa richiede la presenza di una minaccia attuale alla fede della Chiesa, che viene difesa attraverso una definizione conciliare. Numerosi concili che la Chiesa cattolica romana considera ecumenici (Costantinopoli IV, Laterano II, Lione I, Costanza, e lo stesso Vaticano II) presentano difficoltà in questo campo, per la loro enfasi politico-amministrativa o pastorale. La coscienza ortodossa tenderebbe piuttosto a iscrivere questi concili nella linea della tendenza latina allo sviluppo dogmatico (q.v.). Una chiara valutazione del valore dei concili ritenuti ecumenici da Roma (due terzi non sono condivisi dall'Ortodossia) è indispensabile sulla via della ricerca di un'unità di fede.
Ricezione dei convertiti
La Chiesa cattolica romana, per quanto riguarda il conferimento di sacramenti e di Ordini sacri al di fuori della sua comunione, ha aderito strettamente alla dottrina agostiniana dei sacramenti. Questa dottrina vuole che un atto sacramentale conferito al di fuori dei limiti visibili della Chiesa (anche la stessa consacrazione di un vescovo), rimanga valido, per quanto illecito (ovvero giuridicamente irregolare), e al momento della riconciliazione con la Chiesa debba essere riconosciuto come tale. La sola condizione è che venga seguito secondo i dettami di un rito di provenienza apostolica, con l'intenzione di fare "ciò che fa la Chiesa". Differenze sostanziali di rito e di intenzione hanno portato Roma a negare la validità sacramentale di sacramenti e ordini delle Chiese nate in seguito alla riforma, soprattutto quella anglicana.
L'Ortodossia, d'altro canto, non si è mai sentita vincolata a questa visione legalistica degli ordini e dei sacramenti: essa riconosce la presenza della grazia sacramentale al suo interno, in quanto corrispondente con la pienezza della fede: ciò non significa, come alcuni hanno potuto pensare, che la Chiesa ortodossa presuma di negare la presenza della grazia al di fuori dei suoi confini visibili; soltanto, essa non si pronuncia a riguardo.
Se un convertito proveniente da un'altra comunità cristiana desidera entrare nella Chiesa ortodossa, questa si sente libera di accettarlo reiterando i sacramenti in precedenza ricevuti dal convertito (posizione di acrivìa, o severità), oppure "sanando" sacramenti ed eventuali Ordini sacri come se questi fossero stati ricevuti all'interno dell'Ortodossia (posizione di economia, o dispensazione). Quale che sia la forma adottata, la Chiesa Ortodossa ritiene comunque che la pienezza di questi sacramenti inizi a decorrere soltanto dal momento della ricezione nell'Ortodossia.
I cattolici romani, abituati a ricevere i convertiti secondo "categorie" ben definite (coloro che hanno ricevuto un battesimo "valido", coloro di cui sono "validi" anche gli Ordini, e così via) si sentono spesso disorientati, e talvolta offesi, quando vedono che le singole Chiese ortodosse (che talvolta hanno ordinamenti differenti, alcuni più severi, altri più "economici") ricevono convertiti, magari provenienti dalla stessa Chiesa di partenza, in modi differenti: chi viene "ribattezzato", chi "ricresimato", chi "riordinato", chi accolto mediante una professione di fede o una rinuncia alle eresie...
La posizione ortodossa è probabilmente meno "chiara", ma la lezione da imparare è che la forma della ricezione di un convertito è di importanza secondaria rispetto al suo accoglimento nella pienezza della fede ortodossa.
Riunione dei cristiani
La Chiesa di Roma vede nella riunione visibile sotto la giurisdizione universale del successore di Pietro la condizione indispensabile per il recupero della pienezza di vita ecclesiale. Nei confronti delle chiese orientali, essa è disposta ad accettare che queste mantengano il loro stato dogmaticamente "sottosviluppato", a condizione della loro sottomissione alla sede romana. Questa posizione giunge di fatto a sorvolare su notevoli differenze di fede: la posizione ambigua nei confronti del filioque (q.v.), contemporaneamente accettato o respinto a seconda del "rito", ne è una prova.
Da questo si capisce come mai il magistero cattolico romano consideri tollerabile, e addirittura incoraggiabile, un certo grado di comunicazione nelle cose sacre (partecipazione dei fedeli di una Chiesa ai sacramenti dell'altra), anche se non si sia giunti a una riunificazione su temi centrali della fede.
L'Ortodossia è di tutt'altro avviso. Riconoscendo la propria fede come l'immutata continuità della fede apostolica, essa richiama le altre confessioni cristiane, inclusa quella cattolica romana, al recupero della pienezza delle proprie radici cristiane. Di fronte a loro si pone, in tutta umiltà, come custode di una verità che ha saputo mantenere inalterata nei secoli, per la grazia dello Spirito Santo, e non certamente per proprio merito. Una unità visibile proclamata con un atto di sottomissione superficiale, dettato da necessità del momento, e senza un totale accordo di espressione di fede, non provocherebbe altro che maggiori lacerazioni e ostilità (come dimostrato dai fallimenti dei concili unionisti medioevali di Lione e di Ferrara-Firenze).
Fino al momento di un accordo nell'integrità della fede apostolica, l'Ortodossia ritiene che il ricorso generalizzato alla communicatio in sacris non sia altro che una profanazione, che strumentalizza la santità dei sacramenti per l'ottenimento di un fine "politico" contingente.
Fede e Ragione
Seguendo i Santi Padri, l'Ortodossia si serve scienza e filosofia per difendere e spiegare la propria fede, ma senza cercare di riconciliare fede e ragione, o di provare la fede con la logica e la scienza: in questa attitudine, essa vedrebbe piuttosto un pericolo di cambiamenti di fede nel tentativo di adeguamento ai processi intellettuali del tempo. Dal periodo della scolastica (q.v.) in poi, il rispetto per la ragione umana ha portato i cattolicesimo romano a profondi ridimensionamenti in campo di teologia, sacramenti, e istituzioni ecclesiastiche.
Il Cattolicesimo romano insegna che la ragione può provare l'esistenza di Dio, e anche dedurne i suoi attributi (eternità, bontà, incorporeità, onnipotenza, onniscienza...); l'Ortodossia ritiene piuttosto che la conoscenza di Dio sia impiantata nella natura umana; salvo un intervento di Dio, la ragione umana non può scoprire altro.
Il classico detto della teologia romana "potuit, decuit, ergo fecit" (Dio ha il potere di fare qualcosa, Dio l'avrebbe voluta fare, e perciò Dio l'ha fatta), se viene preso come misura di come e quando Dio interviene nella storia, pone il teologo latino nella situazione impossibile di giudicare e dedurre quando Dio ha desiderato che una certa cosa accadesse. In questo caso l'infallibilità papale (q.v.) si rende necessaria per dirimere le controversie di ipotesi e spiegazioni contraddittorie.
L'importanza della ragione, che sta alla base del senso dello sviluppo dogmatico (q.v.), deriva (o piuttosto è sostenuta) dalla particolare antropologia del Cattolicesimo romano: questa asserisce che, di tutte le facoltà umane, la ragione sia la meno coinvolta nella caduta dell'uomo. L'Ortodossia ritiene invece che la ragione sia intaccata dalla caduta allo stesso modo di tutte le altre facoltà umane.
Massoneria e fede cristiana
Come accade nel Cattolicesimo romano, anche nell'Ortodossia l'appartenenza di un membro della Chiesa alla massoneria è strettamente proibita, e comporta la scomunica. La relativa scarsità di sentenze esplicite di condanna, tuttavia (mentre la Chiesa cattolica romana ha emesso in due secoli e mezzo oltre cinquecento scomuniche), ha fatto sì che la Chiesa ortodossa venisse spesso accusata, da parte romana, di compromessi con il mondo massonico.
L'accusa è quanto meno strana, se si considera che il nucleo delle obiezioni cristiane alla massoneria è rivolto al relativismo in questioni di fede: una imputazione difficilmente applicabile alla Chiesa ortodossa, che nel corso dei secoli ha patito indicibili umiliazioni proprio per non transigere sui punti fermi della fede.
La posizione della Chiesa romana in materia è indubbiamente più chiara, e le sue ragioni sono più debitamente espresse e articolate. Tuttavia, l'assenza di ripetute condanne da parte ortodossa è sintomo di un atteggiamento verso i problemi giuridici molto meno categorico e conflittuale. L'Ortodossia, una volta riconosciuta l'incompatibilità di una data posizione filosofica o dottrinale con la fede cristiana, non sente il bisogno di reiterare continuamente la propria posizione, come se bastassero alcuni secoli o decenni a "esaurire" le sue ragioni.
Missione
Il concetto di missione nell'Ortodossia e nel Cattolicesimo romano è piuttosto differente, e spesso, giudicando la Chiesa ortodossa con i parametri di missione invalsi nel cristianesimo occidentale, si è giunti a definire l'Ortodossia come carente dal punto di vista missionario.
La fase iniziale della missione cattolica è stata tradizionalmente affidata agli ordini religiosi (q.v.), che si prendevano cura di intere zone o paesi, avviando le attività ecclesiali secondo la loro particolare regola, fino alla costituzione di strutture diocesane locali (ma spesso anche le cariche episcopali venivano affidate allo stesso ordine religioso che aveva compiuto l'evangelizzazione del luogo). Anche le società missionarie protestanti, seppure in un'ottica di rifiuto degli ordini religiosi, si muovevano su linee simili.
Nell'Ortodossia, Chiesa e missione sono visti in modo molto più inseparabile. Il temine ortodosso (e neotestamentario) per "missionario" è apostolo, e la funzione missionaria è parte integrante dell'aspetto di apostolicità della Chiesa. Ne consegue che lo sforzo di evangelizzazione non può essere appannaggio di un singolo settore, come un ordine religioso o una società di fedeli (spesso agli inizi della missione ortodossa si trovano dei monaci, ma senza strutture centralizzate che ne regolano l'attività), e che questo sforzo deve essere sempre soggetto all'autorità del vescovo locale, e coordinato all'interno della Chiesa locale.
[Modificato da Xostantinou 11/06/2012 18:21]
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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.
"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."
"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."
"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."
"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."
"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”
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