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11/06/2012 18:17 | |
Testo nascosto - clicca qui Sacramenti di iniziazione
Nella Chiesa ortodossa, i sacramenti dell'iniziazione cristiana vengono amministrati come nella Chiesa dei primi secoli: battesimo, cresima ed eucaristia vengono conferiti in quest'ordine, e tutti assieme, poiché chiunque entra a far parte della Chiesa ha diritto di riceverne appieno tutti i privilegi.
Il Cattolicesimo romano, riservando il conferimento della cresima ai soli vescovi, sconvolse l'ordine dei sacramenti di iniziazione, facendo della cresima un "rito di passaggio" della tarda infanzia o dell'adolescenza (residui dell'antico uso dei sacramenti congiunti sono comunque rimasti nelle unzioni battesimali), e situando la prima comunione in un'età di uso della ragione, abbinata alla confessione dei peccati.
L'Ortodossia non può che deplorare questo sistema di mutilazione della vita cristiana. Il sistema "latino" priva i bambini appena battezzati della loro qualifica di membri della Chiesa a tutti gli effetti, subordina la grazia di Dio data nei sacramenti a una facoltà di "capire" razionalmente la loro efficacia, e riserva arbitrariamente la pienezza della vita cristiana a un'età in cui la prima formazione alla fede è già da tempo superata, e lo sviluppo personale è più esposto a traumi e conflitti.
Numero dei Sacramenti
La Chiesa ortodossa ha in comune con il Cattolicesimo romano la dottrina dei Sette Sacramenti (o Misteri, secondo la terminologia greca): tuttavia, la differenza tra sacramenti e sacramentali non vi è delimitata in modo così netto: il numero sette non ha un significato dogmatico assoluto nella teologia ortodossa, e alcuni riti, come la tonsura monastica o l'unzione dei sovrani, vengono considerati in modo informale come sacramenti. Lo stesso uso del termine greco "Misteri" sembra suggerire una connotazione più interiore, laddove il latino "Sacramenti" pare insistere più sugli atti rituali esteriori.
Il battesimo
La Chiesa ortodossa continua ad amministrare, secondo il costume apostolico, il battesimo mediante triplice immersione del corpo del battezzando: come Giovanni che immerge Cristo nel fiume Giordano. Già uno dei più antichi testi di istruzione cristiana, la Didaché, ammette in caso di necessità l'amministrazione del battesimo mediante il triplice rovesciamento di acqua ("infusione") sul capo. Questo atto di eccezione (che nei primi secoli veniva usato solo nei confronti di malati gravi e di prigionieri nelle celle) divenne la norma nelle chiese cattoliche di rito romano attorno al 1500. Così venne stravolto non solo il senso dello stesso termine "battesimo" (in greco baptìzein significa immergere), ma anche il suo senso simbolico di immersione nel Nome (realtà) delle Persone della Santa Trinità, e della rinascita, o emersione, alla vita nuova. Quando il segno esteriore non è più corrispondente al significato interiore, gran parte della comprensione dell'atto sacramentale viene perduta.
Nei casi in cui si deve procedere a un battesimo di emergenza (in assenza di un sacerdote) la persona del battezzante, secondo i teologi cattolici romani, può anche essere un non cristiano, purché amministri il battesimo secondo le modalità e l'intenzione della Chiesa. L'Ortodossia, al contrario, ha sempre sostenuto che il battezzante deve essere a sua volta battezzato. Il principio è quello che non si può dare ciò che non si possiede: la posizione cattolica romana, portata alle sue estreme conseguenze, rischia di far dipendere un sacramento dal puro requisito formale della sua corretta applicazione.
Nella stessa epoca, il sacramento della “Illuminazione” spirituale è smembrato in tre momenti distinti: l’Eucaristia è rinviata all’Età della ragione (e si nega la comunione proprio agli innocenti); la Cresima è rinviata all’età adulta (o trascurata del tutto). La Chiesa ortodossa conserva l’antico uso di amministrare nella stessa celebrazione battesimo, cresima e (prima) comunione.
Ministri Straordinari dell'Eucaristia
Il nuovo ruolo dei Ministri Straordinari dell'Eucaristia, ora affidato nella Chiesa cattolica romana (di rito latino) anche a laici che dovrebbero essere adeguatamente istruiti, è divenuto fonte di molte violazioni delle istruzioni liturgiche e di atteggiamenti ben poco riverenti.
Se da una parte si vuole attribuire tutto questo a spontaneismo e mancanza di preparazione, nondimeno resta acuto il contrasto con secoli di accuse, da parte cattolica romana, di scarsa riverenza eucaristica tra gli ortodossi, solo perché questi non avevano atti di adorazione eucaristica (q.v.), e non esponevano le sacre Specie alla venerazione dei fedeli.
Ministro della Cresima
Nel medioevo, il mondo latino restrinse l'amministrazione della cresima ai soli vescovi, facendo della cresima un sacramento sempre più separato dalla vita parrocchiale; nel tredicesimo secolo, si giunse alla sua completa separazione dal battesimo, sdoppiando così la pratica dell'iniziazione cristiana.
La relativa difficoltà di cresimare i fanciulli nel mondo cattolico romano (erano richieste a tal fine apposite visite episcopali), e i frequenti casi di bambini morti prima della cresima, portarono i teologi latini (forse non senza l'intento di tranquillizzare i fedeli) a sviluppare un nuovo insegnamento: che la cresima non sia un sacramento incondizionatamente necessario per la salvezza.
Anche se, progressivamente (partendo dalle necessità in terre di missione), la Chiesa romana ha reintrodotto l'uso di far amministrare la cresima dai presbiteri, questi rimangono ministri straordinari, e in via ordinaria il ministro è sempre il vescovo.
Nella Chiesa ortodossa, la cresima può essere amministrata da qualunque sacerdote, usando il crisma (ovvero il Santo Myron) consacrato dal vescovo.
Non andrebbe dimenticata, parlando di innovazioni latine nella cresima, l'adozione di una serie di usi cavallereschi medioevali (come lo schiaffo dato dal vescovo al neocresimato), che, oltre a snaturare il senso del sacramento facendone un rito di tono bellico, furono causa di numerose offese ai costumi dei popoli orientali.
Unzione degli infermi
Il sacramento dell'Unzione degli infermi, basato su Gc 5, 14-15, e sulla pratica della Chiesa nei tempi apostolici, fu ristretto, nel mondo cattolico romano dal XII al XX secolo, ai casi di morte imminente, prendendo il nome di "estrema unzione", e divenendo una sorta di sacramento dei morenti.
La Chiesa ortodossa, mantenendo l'amministrazione di questo sacramento a tutti gli infermi, di corpo come di spirito, non lo ha mai riservato ai soli morenti. Pur amministrando l'Olio santo anche ai malati terminali, essa non lo considera una parte necessaria dei riti per i morenti (che includono la confessione, il viatico e le preghiere per la dipartita dell'anima).
Validità dei sacramenti
Nella concezione cattolica romana, si presume che i Misteri vengano compiuti dal clero, lecitamente o illecitamente, ma in un modo "valido"; gli ortodossi affermano invece che i Misteri vengono serviti dal clero, e di conseguenza la questione della validità perde di senso al di fuori del contesto del servizio ministeriale nella pienezza della Chiesa apostolica.
Queste diverse concezioni hanno portato a equivoci, con accuse spesso ingiustificate alla Chiesa ortodossa, sulla questione della ricezione dei convertiti (q.v.)
Esisteva una direttiva ufficiale e legittima (per quanto non proprio universale e piuttosto tardiva), descritta nel manuali a uso del clero, per ricevere i convertiti attraverso la rinuncia alle eresie e la confessione, e senza la ripetizione dei riti del Battesimo e della Cresima amministrati in modo formalmente adeguato in chiese non ortodosse. Questa pratica fu seguita soprattutto nella Chiesa russa, non senza un influsso teologico latino, e con lo scopo principale di favorire il ritorno all'Ortodossia degli uniati.
In circostanze moderne, questo grado di economia (che è un modo misericordioso di ricevere i convertiti), può essere facilmente confuso con un effettivo riconoscimento di sacramenti e misteri al di fuori della Chiesa Ortodossa; può facilmente lasciar credere che gli ortodossi sottoscrivano concetti come quello delle "Chiese sorelle" (q.v.), o quello della "validità automatica" dei riti conferiti al di fuori della Chiesa.
La grazia degli atti sacramentali compiuti al di fuori della Chiesa non può essere mai riconosciuta per sé (tant'è vero che gli ortodossi sono comunque tenuti, in ogni caso, a non accostarsi ai sacramenti delle chiese non ortodosse, e che è unicamente nel caso di ricezioni di convertiti che si pone la questione della ripetizione, o non ripetizione, di sacramenti ricevuti in precedenza). L'Ortodossia non specula sulla eventuale presenza della grazia al di fuori dei limiti visibili della Chiesa: l'unica grazia che può essere decisamente, e ufficialmente, riconosciuta come presente e attiva nella vita dei cristiani non ortodossi (e peraltro anche dei non cristiani), è quella grazia che li conduce alla pienezza della Chiesa.
Ministro del Matrimonio
Il sacramento del matrimonio è visto in modo molto diverso dall'Ortodossia e dal Cattolicesimo romano, sia a livello di principi teologici che a livello di prassi liturgica e pastorale.
Il celebrante del sacramento, per gli ortodossi, è sempre il vescovo o prete officiante; la tesi sostenuta nel mondo cattolico romano, che i veri celebranti del matrimonio siano gli sposi stessi, ha le sue origini nel giuridismo teologico medioevale. Arrivando a considerare il matrimonio con le categorie giuridiche del contratto, la logica conclusione fu quella di considerare come figure centrali i "contraenti", mentre l'autorità che presiede si limita a ratificare la benedizione della Chiesa.
Questa linea di principio ha poi fatto nascere alcuni controsensi all'interno dello stesso mondo cattolico romano; per esempio, per "rispettare la tradizione" delle Chiese orientali cattoliche, ai diaconi cattolici di rito orientale è proibito celebrare riti matrimoniali, mentre ai diaconi di rito latino è concesso, in quanto semplici "assistenti" degli sposi-celebranti.
Divorzio e secondo matrimonio
Si dice talvolta, in ambienti cattolici romani, che la Chiesa ortodossa tollera il divorzio: l'affermazione è alquanto gratuita, soprattutto in un'epoca in cui, parlando di divorzio, si pensa subito all'istituzione giuridica moderna. In realtà l'Ortodossia non è affatto "divorzista": essa fa proprie le parole di Gesù sul ripudio (in quanto atto unilaterale e umano di scioglimento di un legame divino). Tuttavia, come misura di economia (dispensazione) e filantropia (amorevolezza), basandosi sul fatto che Cristo stesso permise un'eccezione (Mt. 19,9) al suo rifiuto del ripudio, la Chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto dalla Chiesa (non dallo Stato!), in base al potere dato alla Chiesa di sciogliere e legare, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista (per quanto scoraggiata) anche la possibilità di un terzo matrimonio, mentre è in ogni caso proibito un quarto (gli antichi canoni che proibivano in ogni caso un quarto matrimonio non sono più rispettati nel cattolicesimo romano). Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze in casi di scioglimento del matrimonio viene concessa solo al coniuge innocente.
Le seconde (e terze) nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate con un rito speciale, di carattere penitenziale (il cui principio è il riconoscimento di una situazione di fallimento), che contiene una preghiera di assoluzione (la prassi cattolica romana non prevede una identificazione liturgica delle seconde nozze). Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell'incoronazione degli sposi (che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio), esiste una giustificazione teologica nel dire che le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma tutt'al più, per usare la terminologia latina, un sacramentale, che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi, e questo consente di dire che l'Ortodossia, in linea di principio (e a differenza del Cattolicesimo romano) permette un solo vero matrimonio sacramentale in tutta la vita.
Quarto matrimonio
Nei casi in cui la Chiesa ortodossa permette le seconde nozze, essa considera il legame matrimoniale precedente come sciolto, sulla base del potere di sciogliere e legare dato da Cristo alla sua Chiesa.
La Chiesa romana, d'altro canto, insistendo sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale, ritiene che la Chiesa non abbia il potere di scioglierlo, e si trova così costretta ad annullarlo (o per meglio dire, a dichiarare che il matrimonio non ha mai in realtà avuto effetto), nei casi in cui un legame affettivo tra i coniugi ha di fatto cessato di esistere.
Per giungere a sostenere che un matrimonio non ha mai realmente avuto luogo, laddove manchino dati di evidenza certa, la teologia romana deve per lo più fare ricorso ai cosiddetti vizi del consenso (riserve mentali al momento della celebrazione del matrimonio), che prevengono l'effettiva realizzazione del legame matrimoniale, o ad altri concetti di difficile valutazione, quali l'immaturità emotiva al consenso.
l'Ortodossia ritiene il ricorso ai vizi del consenso come un espediente privo di qualsiasi solidità giuridica (perché una riserva mentale attiene quasi esclusivamente alla sfera dell'intenzione, che è una delle qualità umane più difficili, se non impossibili, da dimostrare), un tentativo di coprire un divorzio senza chiamarlo con questo nome. Realisticamente, il ricorso all'immaturità emotiva può essere visto come un sentiero spalancato per annullare in pratica qualsiasi matrimonio tra coniugi giovani.
Il concetto stesso della possibile nullità del matrimonio rende impossibile essere sicuri che una qualsiasi coppia cattolica romana abbia avuto un matrimonio sacramentale, o sapere se in un rito nuziale cattolico romano venga davvero creato un vincolo matrimoniale valido.
Pertanto, l'idea dell'annullamento è vista dagli ortodossi come qualcosa di più di una destrezza di mano con cui il diritto canonico cerca di coniugare un approccio pastorale con un rigore di principi (cosa che in sé sarebbe accettabile all'Ortodossia): il vero problema è che il concetto di nullità mina alle radici la teologia sacramentale.
Il Cattolicesimo romano, accettando durante il Medioevo una visione giuridica del matrimonio come contratto vincolante per la durata della vita degli sposi, giunse a ritenere che la morte di un coniuge estingua il vincolo matrimoniale: si arrivò così a permettere il matrimonio delle persone rimaste vedove senza limite di numero di nozze successive.
Il diritto canonico ortodosso, invece, in stretta conformità con gli antichi canoni e con i dettami dei Padri, proibisce in ogni caso (sia a causa di vedovanza che di scioglimento di matrimoni precedenti) un quarto matrimonio, e anche il permesso di un terzo matrimonio viene accordato con una certa difficoltà. Questa particolare durezza dovrebbe far riflettere di fronte all'accusa di lassismo matrimoniale che viene facilmente attribuita agli ortodossi in un confronto con la prassi cattolico-romana.
Digiuno e astinenza
Già nell'anno 867 San Fozio, patriarca di Costantinopoli, lamentava l'introduzione di deviazioni della prassi del digiuno operate dalla Chiesa romana, e imposte dai missionari latini: l'usanza di digiunare anche il sabato, e la concessione di cibarsi di latticini nella prima settimana di quaresima. (Provvedimenti, quindi, talvolta più rigorosi e talvolta più permissivi, ma in ogni caso deviazioni dalla prassi della Chiesa antica). Ma le deviazioni sarebbero aumentate ancora di più dopo lo scisma.
Gli odierni residui delle antiche astinenze alimentari tuttora rimasti nella chiesa cattolica romana si limitano al divieto della carne in alcuni giorni particolari della quaresima. Nei periodi di digiuno degli ortodossi (che corrispondono a più della metà dei giorni dell'anno), è rimasto invece l'antico divieto di cibarsi, oltre che della carne, anche di pesce, uova, latte e latticini, vino e olio.
Per gli ortodossi, a differenza dei cattolici romani, rimane in vigore il divieto di consumare sangue, in conformità con il dettame del Concilio apostolico di Gerusalemme, citato in At 15,20.
In alcuni casi (che variano a seconda di usi nazionali e locali) l'astinenza viene lievemente mitigata in ricorrenze speciali, ma si tratta comunque, anche da un punto di vista meramente quantitativo, di una attitudine verso il digiuno molto più rigorosa di quella cattolico-romana.
Inoltre, nell'Ortodossia digiunano tutti, non solo i monaci, con un fervore e una disciplina che provocano spesso stupore nei cattolici romani, abituati a vedere lo stesso rigore solo nei più severi ordini religiosi.
In generale, si può dire che questo enorme divario di prassi ascetica rifletta due tendenze del tutto differenti di considerare il mondo e il cammino di santificazione: il Cattolicesimo romano si è gradualmente diretto verso un progressivo adattamento a questo mondo e alla sua mentalità (ritenendolo, indubbiamente, una misura di generosità della Chiesa nei confronti dei propri figli); l'Ortodossia, invece, pur consapevole della difficoltà di mantenere severe prescrizioni ascetiche nel presente oceano di mondanità, non si sente autorizzata a sminuire i suoi modelli etici. Questi sono infatti modelli di santità, ai quali i fedeli ortodossi sanno di essere sempre e immancabilmente chiamati.
La tradizione cattolica ha gradualmente soppresso nel tempo i periodi quaresimali di astinenza e di digiuno (tanto da arrivare ai tempi attuali a un precetto di digiuno pressoché simbolico, limitato ai venerdì di Quaresima e al Mercoledì delle Ceneri).
Gli ortodossi, in conformità con i costumi della Chiesa del primo millennio, mantengono tuttora quattro periodi quaresimali:
1- la Grande Quaresima (sette settimane prima della Pasqua, corrispondenti alla quaresima latina)
2- il Digiuno degli Apostoli (dal termine dell'ottava di Pentecoste fino alla festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 Giugno)
3- Il Digiuno dell'Assunzione (i primi 15 giorni di agosto)
4- Il Digiuno di Natale (quaranta giorni, dal 15 novembre al 24 Dicembre)
Inoltre, sono giorni di digiuno e astinenza tutti i mercoledì e i venerdì dell'anno (nei monasteri anche i lunedì), le vigilie delle grandi feste, e alcune festività particolari, come quella dell'Esaltazione della Santa Croce (14 Settembre). Le eccezioni a questi periodi di digiuno sono poche, ed è stato calcolato che nella vita degli ortodossi sono più numerosi i giorni di digiuno di quelli in cui è lecito di cibarsi di ogni cosa.
Digiuno eucaristico
Come per i periodi di digiuno quaresimale, si è visto nella Chiesa cattolica romana un progressivo indebolimento del senso del digiuno prima di ricevere la santa Comunione. Con le recenti riforme il digiuno eucaristico si è ridotto a una singola ora di astinenza dai cibi e bevande, eccettuata l'acqua.
Nella Chiesa ortodossa, dove l'antica pratica è invece rimasta immutata, per chi desidera comunicarsi nulla può essere mangiato o bevuto dal momento del risveglio al mattino. Nel caso di Liturgie vespertine (permesse dalle rubriche ortodosse solo quando la Liturgia si fonde con il Vespro, in 4 occasioni di vigilie di grandi feste, e nelle Liturgie dei Presantificati in alcuni giorni della Grande Quaresima), il periodo di digiuno totale prima di comunicarsi è lo stesso, ma in certi casi viene tollerato un digiuno di sei ore.
Non sono infrequenti, nel mondo ortodosso, casi di fedeli particolarmente devoti, che prima di comunicarsi osservano anche uno o più giorni di digiuno totale.
Meditazione
La tradizione spirituale ortodossa fa raramente uso dei sistemi di 'meditazione discorsiva', impiegati nel Cattolicesimo romano sin dai tempi della Controriforma (si pensi ai metodi di esercizi spirituali stabiliti da Ignazio di Loyola e da Francesco di Sales). Una probabile ragione di questa assenza è la ricchezza e frequenza di testi-chiave e di immagini che si può riscontrare nelle ufficiature ortodosse, particolarmente nelle grandi feste e nei periodi quaresimali. Questa abbondanza è sufficiente a nutrire l'immaginazione del fedele, che non ha più bisogno di ripensare quotidianamente il messaggio dei servizi della Chiesa in un periodo di meditazione formale. Nell'addestramento alla preghiera esicasta, anzi, la meditazione su immagini e sentimenti è positivamente scoraggiata, in quanto aprirebbe la strada a illusioni emotive e autosuggestioni.
Carattere sacramentale
La Chiesa cattolica romana, sotto l'influsso della teologia scolastica, ha adottato una dottrina particolare, non condivisa dall'Ortodossia, per spiegare perché i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell'Ordine Santo non vengono ripetuti. Secondo tale dottrina, questi tre sacramenti, oltre a conferire la grazia divina, imprimono sull'anima un segno indelebile, che non cessa di esistere anche se la grazia divina del sacramento si ritira a causa del peccato. Questa dottrina è vincolante per i cattolici romani (Concilio di Trento, sess. VII, Canone 9).
La teologia ortodossa ribadisce che la teoria del carattere sacramentale, priva di un solido appoggio scritturale e patristico, crea un'arbitraria qualificazione all'interno dei sacramenti, ed è incapace di spiegare la natura del carattere sacramentale, e la sua eventuale esistenza al di fuori della grazia conferita dal sacramento. La dottrina sostenuta nella Chiesa ortodossa è che i tre sacramenti in questione (come pure il sacramento della Penitenza, per quanto riguarda i peccati già confessati e assolti) non si reiterano, perché non esiste più la causa per la quale quei sacramenti furono conferiti. Vale la pena notare che il secondo conferimento della Cresima agli apostati che rientrano nella Chiesa (testimoniato già in tempi antichi), non è considerato reiterazione del primo sacramento, ma segno di riconciliazione.
Il celibato
Il divieto al sacerdote di avere legittima moglie e figli legittimi, imposto dopo il XII° secolo con la forza, trae origine da un’aberrante abitudine dei Franchi. Il barone, il conte, ecc., si riteneva proprietario della chiesa che sorgeva nel suo feudo e ne riscuoteva offerte e rendite, col solo obbligo del sostentamento del clero. Per risparmiare, il signorotto medievale assumeva come parroco un sacerdote a condizione che non avesse moglie legittima (convivente e bastardi non avevano diritto ad “assegni familiari”).
Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha chiamato al servizio ministeriale, oltre ai celibi, anche gli uomini sposati. Quando la disciplina del matrimonio fu fissata nei Concili di Ancyra (314), Nicea (325), Gangra (c. 350) e nel Concilio Trullano del 692, fu rispettata questa tradizione, con la riserva di scegliere i vescovi tra gli uomini che avessero pronunciato i voti monastici (in questi casi, se l'eletto all'episcopato era sposato, il matrimonio veniva sospeso, ed entrambi i coniugi entravano nella vita monastica). Non era invece ammesso un matrimonio dopo l'ordinazione, e se un membro del clero rimasto vedovo desiderava risposarsi, doveva accettare la riduzione allo stato laicale.
La Chiesa ortodossa segue tuttora questa tradizione, senza alcuna modifica. Riteniamo opportuno correggere il luogo comune che parla di "preti che si sposano" nelle Chiese ortodosse: esistono preti sposati, ma non preti che si sposano (a meno di venire ridotti allo stato laicale).
Inoltre, è bene ricordare che nella Chiesa ortodossa i preti e diaconi sposati sono tenuti a offrire nella loro vita matrimoniale una immagine rigorosa e ideale del sacramento nuziale. Pertanto, non può essere ordinato agli Ordini maggiori un uomo che abbia sposato una divorziata o una vedova, o che abbia contratto un secondo matrimonio.
In Occidente, il Concilio di Elvira, in Spagna (306), proibì a preti e diaconi di vivere con le proprie mogli dopo l'ordinazione. Nonostante questa innovazione fosse stata condannata dal Concilio Trullano, ebbe inizio una serie di iniziative, mai del tutto riuscite, per imporre il celibato sacerdotale (l'imposizione lasciava purtroppo mano libera al concubinato), finché i primi due Concili Lateranensi (1123 e 1139) lo imposero con validità universale. Papa Alessandro III, nel 1180, impose il celibato anche ai diaconi, ma in anni recenti ai diaconi permanenti della Chiesa cattolica romana è stato restituito il diritto di essere ordinati nello stato coniugale.
Per le Chiese orientali unite a Roma, la tendenza generale è quella di rispettare le tradizioni di provenienza, ma talvolta queste sono state drasticamente ignorate (un esempio è la forzatura del celibato sui sacerdoti cattolici orientali al di fuori dei loro territori storici d'origine: una prassi che causò il ritorno di molti di loro all'Ortodossia, tra cui intere diocesi in America).
La disciplina cattolico-romana sul celibato sacerdotale, per quanto venga giustificata con ottime ragioni, soprattutto pastorali, presenta troppi "strappi" e cambiamenti perché gli ortodossi la possano ritenere conforme alla tradizione della Chiesa.
Diaconato permanente
Rimanendo fedele alla tripartizione del ministero sacerdotale (diaconi, presbiteri e vescovi), la Chiesa ortodossa ha sempre giudicato opportuno che i diaconi possano restare nel loro stato, se tale è il loro desiderio, anche per tutta la vita; ciò si giustifica con la ricchezza e la complessità del ruolo del diacono nelle funzioni sacre ortodosse (nella Divina Liturgia, per esempio, le parti riservate ai diaconi sono preponderanti, e costituiscono un legame ideale tra fedeli, coro e sacerdote).
Nel mondo cattolico romano, con l'assottigliarsi delle funzioni del diacono nei riti, il diaconato è gradualmente divenuto, fino ai tempi del Concilio Vaticano Secondo, un periodo di "apprendistato" al sacerdozio, solitamente della durata di un anno.
La recente riaffermazione di un diaconato permanente nella Chiesa cattolica romana manifesta un lodevole desiderio di ridare al diaconato un ruolo di dignità e di importanza nella Chiesa. Gli Ortodossi vedono anche con favore la reintroduzione, nel diaconato permanente romano, della prassi del clero sposato. Visto che tali regole permettono l'ordinazione di uomini sposati al diaconato, ma non al sacerdozio, resta tuttavia l'interrogativo su quanti degli attuali "diaconi permanenti" rimarrebbero tali se si aprissero loro le porte dell'ordinazione presbiterale.
Diaconesse
La diaconessa, figura presente nelle comunità cristiane del Nuovo Testamento, è un tipo di ministero femminile che ebbe una certa importanza nei primi secoli della cristianità, finché le sue funzioni (che non corrispondevano a quelle liturgiche e ministeriali del diacono) furono gradualmente assorbite dagli ordini monastici femminili. Per la verità, le tracce storiche di presenza di diaconesse sono enormemente più frequenti nelle chiese dell'Oriente cristiano che in quelle occidentali.
Nella Chiesa cattolica romana, a grandi linee, si può escludere la presenza di diaconesse per tutto il secondo millennio, e anche se si è parlato di una possibile rivalutazione di questo ministero, non si è ancora deciso nulla a proposito.
Nelle Chiese ortodosse, invece, si sono avuti ancora fino ai nostri giorni casi di ammissioni di diaconesse, benché troppo rari per poter parlare di un costume fisso. Ricordiamo i casi di Madre Maria Tuchkova in Russia nel diciannovesimo secolo, e le monache greche ordinate da San Nettario di Egina alcuni decenni dopo: tuttora si ha sentore di ordinazioni sporadiche di diaconesse, ma per lo più monache, e il loro ministero è confinato nei propri monasteri.
Una ulteriore rivalutazione ed estensione del ruolo della diaconessa, nell'Ortodossia, non avrebbe in linea di massima alcun ostacolo canonico, e sarebbe soggetta unicamente all'approvazione dei fedeli.
La confessione
La confessione è un dialogo medicinale con il proprio Padre spirituale. Tra i cattolici, invece, è un “processo”: inizialmente, sono monaci irlandesi che - nel tardo Medioevo - diffondono l’idea che il sacerdote è un giudice cui bisogna confessare le proprie colpe per riceverne il condono dopo aver espiato la pena. Più tardi - XIV° secolo - si diffonde l’idea che, tuttavia, il condono completo dei propri peccati si può ricevere solo grazie alle “indulgenze” o dopo aver scontato anni di “Purgatorio”.
Il sacramento della penitenza, le cui modalità non sono state codificate in modo immutabile (dalle forme antiche di confessione pubblica si è passati gradualmente alla confessione auricolare privata), ha seguito un percorso diverso nel mondo ortodosso e cattolico romano.
Nella prassi ortodossa, la presenza invisibile di Cristo (vero fulcro di un legame triangolare di cui il prete e il penitente non sono il vertice principale) è manifestata dalla presenza di un'icona di Cristo; ciò viene ulteriormente sottolineato dalla posizione del prete e del penitente, entrambi seduti (usanza greca) o entrambi in piedi (usanza russa) di fronte all'icona del Salvatore.
Il mondo cattolico romano ha sviluppato il confessionale a grata, nella ricerca di una via di discrezione e di raccoglimento nella confessione; pur riuscendo a raggiungere tali scopi, ha tuttavia reso difficile vedere la presenza simbolica di Cristo, e ha fatto uscire di proporzione il ruolo del prete rispetto a quello del penitente.
Parallelamente a queste innovazioni, principi di uno spiccato giuridismo (q.v.) hanno teso a trasformare il confessore in un "direttore delle coscienze", piuttosto che un testimone di fronte a Cristo della confessione di un altro peccatore.
Espiazione vicaria
Dalla scuola di Anselmo di Aosta (e, in origine, dalla concezione agostiniana del peccato originale ereditario) è pervenuta al Cattolicesimo romano una comprensione della Crocifissione come pagamento di una punizione, un "riscatto" che Cristo soffrì al posto del genere umano, costretto alla schiavitù al male per virtù del peccato originale.
L'Ortodossia ha una visione assai differente della sofferenza di Cristo e della sua morte sulla Croce: queste ebbero come fine la sconfitta del diavolo e la distruzione del suo potere, la morte (in questo caso, l'unico "riscatto" è quello pagato alla tomba). L'umanità partecipa al riscatto dal diavolo e dalla morte attraverso la padronanza sulle passioni: le sofferenze salvatrici di Cristo vengono così inserite in una cornice di preghiera, pubblica e privata, digiuno (rinnegamento di sé) e obbedienza volontaria, di cui il monachesimo è l'espressione più evidente.
La visione occidentale dell'espiazione vicaria portò a notevoli mutamenti di percorso, con l'introduzione di elementi quali la punizione ecclesiastica dei peccati, le opere supererogatorie, e tutta la cornice giuridica del Purgatorio (q.v.).
Tutto l'edificio teologico del peccato originale e dell'espiazione vicaria (con la sua assoluta necessità di una soddisfazione infinita per un'offesa, e la sua concezione tutto sommato mondana e passionale di giustizia, quasi riconducibile alla vendetta) mette in serio dubbio la bontà di Dio. Può anche essere visto come un pericoloso sintomo di ritorno al paganesimo, con la necessità dell'Incarnazione pari alla Necessità che regolava gli atti degli dèi.
Sviluppo dogmatico
La Chiesa ortodossa pensa che nella rivelazione non esista progresso: i Santi Apostoli avrebbero ricevuto tutta la rivelazione, e tutta la comprensione della rivelazione, nella discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. Pertanto, i dogmi emanati per combattere gli eretici non rappresentano per l'Ortodossia uno sviluppo nella rivelazione, né nella comprensione della rivelazione, ma solo l'espressione di una mediazione culturale funzionale alla lotta all'eresia (ripetizioni di ciò che è sempre stato creduto, e che è stato messo in questione, sfidato o deformato dalla mentalità di questo mondo).
La Chiesa cattolica romana, invece, pensa che la rivelazione possa venire compresa in una crescita temporale, e che pertanto possano darsi dogmi che non solo esprimono una correzione di idee eretiche, ma che rappresentano una maggiore comprensione del deposito rivelato (ne sono un esempio i dogmi dell'Immacolata concezione e dell'Infallibilità papale).
Se l'Ortodossia pensa che vi possa essere crescita nella Chiesa, questa deve essere crescita nella santità, e non nella verità.
È opportuno ricordare che l'idea stessa di sviluppo dogmatico è tardiva, ed è stata introdotta ufficialmente solo nel diciannovesimo secolo, con il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana del Cardinale John Henry Newman: un'opera che paragona la dottrina della chiesa a un albero, che da un seme iniziale cresce attraverso stadi di perfezionamento successivo fino alla piena maturità. In tal modo, anche i nuovi dogmi ottocenteschi potrebbero essere visti come "semi" da sempre presenti nella Tradizione cristiana, in attesa del tempo di germogliare. L'ovvia obiezione a una simile concezione della dottrina cristiana è che in tal modo si aprono le porte pressoché a qualsiasi innovazione dottrinale, per quanto dissonante dalla fede dei padri. L'impressione che ne deriva è che lo "sviluppo dogmatico" sia un tentativo di giustificare le nuove dottrine del cattolicesimo romano nell'incapacità di mostrare una loro continuità dalla fede apostolica.
Pneumatologia
Per la coscienza ecclesiale ortodossa, la scarsa attenzione portata allo Spirito Santo nel cattolicesimo romano è un frutto della stessa distorsione della teologia trinitaria che produsse anche il filioque (q.v.). Per accorgersi di tali lacune, è sufficiente vedere quanto poco spazio sia dedicato nei testi teologici occidentali all'attività dello Spirito Santo nel mondo, nella Chiesa, nella vita dei singoli cristiani. A colmare questa carenza, sorse un eccesso opposto di accettazione della Chiesa come istituzione terrena. La mancata ricostruzione di una pneumatologia (scienza dello Spirito Santo) basata sulla comprensione patristica lascia aperto il campo a numerose visioni alternative, quali quelle del movimento carismatico (q.v.). Di fronte a ogni tentativo ecumenico di appianare le divergenze minimizzando la questione del filioque, l'Ortodossia non può che rispondere che ogni insegnamento falso sullo Spirito Santo è un colpo diretto alla Fede della Chiesa.
Una delle ragioni dell'insistenza ortodossa su un'adeguata dottrina dello Spirito Santo è anche quella di ridimensionare il concetto di autorità: non è l'autorità a rendere tale la Chiesa, ma l'inabitazione in essa dello Spirito, che rende reale la presenza di Cristo tra gli uomini e negli uomini. Anche se esiste posto nella Chiesa ortodossa per un esercizio dell'autorità (Vescovi, Concili, Sacre Scritture, Tradizione), questa è solo una delle espressioni di tale presenza.
Il Filioque
Cristo, parlando del Santo Spirito, ha spiegato chiaramente che questi procede dal Padre (Giovanni 14, 26). I primi due Concili Ecumenici (Nicea, 325; Costantinopoli, 381) formularono il Credo utilizzando le stesse parole di Cristo: “(Credo)... nello Spirito, il Santo, il Signore, il Datore di Vita, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato..." Fondendo - e confondendo - la natura dello Spirito (chi è?) con l’attività del Figlio (che manda lo Spirito), i chierici di Carlo Magno affermarono che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio (“Filioque”). Lo Spirito Santo sarebbe, così, una specie di dio minore o di intruso. La mostruosa eresia del Filioque fu dapprima condannata e combattuta dai papi di Roma: il Credo fu modificato solo attorno al 1014.
Dopo tante lotte con la Chiesa d’Oriente, specialmente con Costantinopoli, introdusse una aggiunta, il famoso “ Filioque “ che sconvolge lo stesso dogma trinitario. Due principi, due teste persino nella Trinità! Roma distrugge l’armonia dei rapporti personali intertrinitari; essa crea una duplice paternità, il Figlio diventa Padre insieme al Padre nei confronti dello Spirito Santo. Secondo questa dottrina, lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio: tragica confusione tra le manifestazioni dello Spirito e la Sua Origine, rottura della armonia che regna nelle relazioni intertrinitarie.
Questa è la goccia, e quale goccia, che fece traboccare il vaso, questo l’atto inaudito che provocò lo Scisma Cattolico Romano o d’Occidente. Un atto contro la Fede, quindi eresia!
Da questo tragico momento la cristianità si trovò divisa, non certo però la Chiesa, perché essa infatti è e rimane costruita sulla Roccia che è Gesù Cristo e resta Una. Roma ha introdotto nel Credo una nuova dottrina senza consultarsi con le altre Chiese sorelle.
Un atto contro la carità, contro la Chiesa e contro la verità!
Per fortuna che la Chiesa è costruita sulla Roccia Cristo che era ieri, è oggi e sarà anche domani sempre uguale nei secoli. Lo Spirito Santo, il Santificatore la pervade. Roma, questa Chiesa locale, si trova ora staccata dalla Chiesa Una, Santa, Cattolica ed Apostolica che Cristo ha fondato in quel tempo, e che i Concili hanno riconosciuto e definito. Pietro (o Paolo) lascia la barca degli Undici per gettarsi nel vasto mare di questo mondo in perpetua burrasca, ed essi lo attendono (gli Undici) fiduciosi da circa un millennio. Egli ritornerà di sicuro, ma dopo una grande tempesta che sconvolgerà i suoi piani e i suoi programmi di trionfalismo. Il Cristo, ancora una volta lo afferrerà con la mano per portarlo sulla barca fra i suoi fratelli che aveva abbandonato. L’Ortodossia ha continuato imperterrita attraverso i secoli a preservare e difendere il “ Deposito di Fede “. Il Cattolicesimo romano si è allontanato sempre di più dalla sana Ecclesiologia del primo millennio, quando Oriente ed Occidente facevano parte della sola Chiesa sotto l’unico Pastore che è Cristo.
La Chiesa ortodossa mantiene inalterato il testo del Credo promulgato dal Primo Concilio di Costantinopoli (381), e solennemente ratificato dal Concilio di Efeso (431), che vietò (canone 7) di modificarne il testo.
In Occidente, in contraddizione a questo divieto, fu introdotta una clausola che resta tuttora uno dei punti fondamentali di differenza tra Ortodossia e Cattolicesimo romano. La Chiesa spagnola, nel Concilio di Toledo del 589, decise di introdurre, laddove il credo parla dello Spirito Santo "... che procede dal Padre", la clausola "e dal Figlio" (filioque). Lo scopo di questa inserzione era di contrastare l'eresia ariana, che negava la divinità di Cristo. Asserendo che la processione dello Spirito avveniva sia dal Padre che dal Figlio, si voleva insistere sull'uguaglianza del Figlio e del Padre. Si veniva così a creare una confusione tra la processione eterna dello Spirito (sulla quale la Bibbia è categorica: "... lo Spirito di Verità, che procede dal Padre": Gv 25,26) e la sua missione temporale, riguardo alla quale anche l'Ortodossia non obietta che lo Spirito sia stato "inviato nel mondo" dal Figlio.
In origine, la Chiesa di Roma fu contraria a questa innovazione nel Credo, a favore della quale si schierarono invece i Franchi. Ancora nell'anno 808, Papa Leone III, per resistere alle pressioni per la modifica del Credo da parte di Carlo Magno, faceva affiggere in San Pietro, sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, due tavole di argento con il testo originale del simbolo di fede.
La definitiva introduzione del filioque da parte della Chiesa romana, su pressione carolingia, fu uno dei punti sui quali si consumò lo scisma del 1054. Da allora, l'Ortodossia ha continuato a rimproverare il Cattolicesimo romano su questo punto, non solo per il "fratricidio morale" di avere cambiato unilateralmente la formulazione della fede, ma anche perché gli ortodossi ritengono il filioque teologicamente errato (il principio dell'unità nella Trinità, per i Padri della Chiesa anteriori ad Agostino, è l'esistenza di un solo Padre come fonte della vita trinitaria: facendo del Figlio una fonte della Terza Persona della Trinità, si ammetterebbero due principi primi).
Bisogna notare come il filioque sia per gli ortodossi un punto di differenza essenziale, mentre non lo è per i cattolici (la clausola compare nel Credo delle chiese cattoliche di rito latino, ma non in quelle cattoliche di rito orientale).
La formula del concilio unionista di Ferrara-Firenze (1438-1439) concedeva l'uso differenziato del Credo, con o senza il filioque, a seconda del "rito" di appartenenza. Lungi dal ritenerlo un atto di misericordia ecumenica, gli ortodossi ancor oggi considerano aberrante un simile atteggiamento: come può una Chiesa, che si considera portatrice di una fede unica, permettere al suo interno due formulazioni diverse della più solenne proclamazione di questa fede?
Le indulgenze
Ottenuto il controllo militare sulla cristianità occidentale, il Papato estende il suo dominio sull’al di là, sottraendo i morti al Giudizio di Dio. Nella mentalità dell’epoca – l’epoca dei mercanti veneziani e dei grandi banchieri fiorentini - si comincia ad affermare che Il Papa possiede l’amministrazione di un immenso tesoro: i meriti guadagnati (!) dalla Vergine Maria, dai santi e dai fedeli tutti. Il Papa amministra, a sua discrezione, gli interessi maturati sul capitale, su questi “risparmi”, versandoli come indulgenze a Tizio o Caio, per coprire il debito che essi hanno contratto nei confronti di Dio con i loro peccati e che, altrimenti, avrebbero dovuto scontare In “Purgatorio”.
Nel 1300 nasce la pratica dell’Anno Santo: in quell’anno, ottiene il condono chiunque si reca in pellegrinaggio a Roma, portando una congrua offerta.
E’ contro l’insegnamento delle Sacre Scritture la teologia del Purgatorio come luogo di espiazione o purificazione temporanea dopo la morte. La dottrina del Purgatorio portò di conseguenza l’eresia delle Indulgenze che portarono alla Rivoluzione Protestante che spaccò in due il Cattolicesimo - romano.
La teoria cattolica è che l’inferno è l’ergastolo della eternità, il purgatorio è un luogo temporale sempre nell’eternità (come è possibile il tempo nell’eternità?).
Da questo purgatorio si può uscire e si esce ma bisogna pagare il pedaggio, la tangente (Messe da morte e indulgenze, come dire che chi non ha i soldi o santi protettori resta in purgatorio). Può mai essere questa la paternità di Dio?
Gesù ci ha raccontato invece la Parabola del Figliol Prodigo...e si fece gran festa dice.
I meriti? Gesù Cristo Figlio di Dio vivente ci salva con la sua morte e resurrezione.
La teologia Ortodossa distingue due stati dell’aldilà: da una parte la benedizione del paradiso; dall’altra la sofferenza di cui l’anima può liberarsi grazie alle preghiere della Chiesa e grazie anche al mutamento interiore dell’anima medesima.
La Chiesa Ortodossa non conosce il purgatorio in quanto luogo o stato speciale. Non ci sono motivi biblici o dogmatici per ammettere l’esistenza di un “terzo luogo” di questa specie.
[Modificato da Xostantinou 11/06/2012 18:21]
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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.
"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."
"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."
"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."
"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."
"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”
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