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1560. Calvinisti e Luterani, in fuga dall'Inghilterra, si rifugiano in Francia.
Carlo IX succede a Francesco II, morto molto giovane, ma data la sua età il governo è retto dalla madre, Caterina de' Medici.
La politica moderata e tollerante degli Asburgo d'Austria affianco alla brutale estirpazione dei capi del protestantesimo in Inghilterra iniziano a ritorcere contro la stessa Francia la politica di sovvenzione attiva dei luterani. Non passerà molto tempo prima che la cattolicissima Francia da alleata dei protestanti in casa d'altri diventi una feroce persecutrice dei protestanti in casa propria.

1561. Caterina de' Medici promulga l'Editto di Orleans, con il quale decreta la tolleranza verso gli ugonotti, a cui aderivano molti membri della nobiltà e della borghesia.

1562. All'Editto di Orleans fa seguito l'Editto di St. Germain: viene sancito il riconoscimento degli ugonotti, ai quali viene data libertà di riunirsi solo fuori delle città e di celebrare i riti religiosi solo nelle case private.
Iniziano a farsi più frequenti i tumulti in Francia, fino a quando, nell'estate dello stesso anno, un gruppo di ugonotti viene massacrato durante una funzione religiosa dai seguaci del duca di Guisa. E' la Strage di Vassy, ed è la scintilla che innesca la guerra civile in Francia.

Filippo II approfitta della coreggenza su Spagna ed Inghilterra per sviluppare, grazie alle esperienze congiunte dei maestri spagnoli ed inglesi, un'enorme flotta oceanica, con la quale intensificare la presenza imperiale nel Nuovo Mondo.

1563. Francesco, duca di Guisa, viene assassinato da un ugonotto mentre assedia Orléans. La guerra diventa sempre più drammatica e molti protestanti di origine inglese si rifugiano nelle città di Calais e Le Havre, ancora sotto la sovranità inglese. Le armate cattoliche di Francia marciano sulle città inglesi.
Filippo II ottiene la cessione delle due città inglesi alla Francia in cambio di un'indennità di 7,5 milioni di sovrane.
Le Havre e Calais, assediate per terra dai francesi e bloccate sul mare dalla flotta anglospagnola, cadono entro l'estate.
Viene siglata la Pace di Amboise. Negoziata tra il Principe di Condé ed il maresciallo di Francia Anne de Montmorency, concede agli ugonotti, specialmente a quelli di nobili natali, una limitata tolleranza.

1564-1565. Massimiliano II diventa Imperatore del Sacro Romano Impero, alla morte del padre Ferdinando I.
Mentre, dall'altra parte del mondo, Miguel Lopez de Legazpi scopre in nome di Filippo II le Filippine, così battezzate in suo onore, i coloni francesi abbandonano Charlesfort, primo tentativo francese di colonizzazione del Nuovo Mondo, e si ritirano a Fort Caroline, in Florida, e i portoghesi fondano la città di São Paulo, in Brasile, l'Impero Ottomano risponde alle provocazioni dell'Ordine degli Ospitalieri ed attacca Malta con una poderosa flotta.

L'imponente flotta turca, che partì da Costantinopoli nel mese di marzo, fu avvistata a Malta all'alba di venerdì 18 maggio, ma non sbarcò immediatamente; costeggiò l'isola ed infine approdò nel porto di Marsa Scirocco, a circa 10 km dal Gran Porto. Tra il capo delle forze terrestri, il visir Lala Kara Mustafa Pascià, e l'ammiraglio Piyale Paşa, ci furono alcuni dissensi. Piyale era dell'idea di mettere al sicuro la sua flotta dai venti del Mediterraneo nel Grande Porto, e perciò propose di attaccare la base fortificata, Mustafa preferiva invece tentare l'attacco alla vecchia capitale, Medina, che era situata al centro dell'isola, per poi attaccare via terra i forti San Michele e Sant'Angelo. Alla fine la spuntò Piyale, convincendo i suoi compagni che i cavalieri a Sant'Elmo avrebbero resistito solamente un paio di giorni. Così, il giorno 24 maggio, posizionò intorno al piccolo forte 21 batterie di cannoni per cominciare subito i bombardamenti.
Certamente Solimano commise un grave errore a distribuire il comando tra Piyale e Mustafà, anche se il comando generale spettava a Dragut, che però arrivò a operazioni già iniziate poiché la sua nave era incappata in una tempesta. Egli, non appena giunse a Malta, disapprovò la scelta di Piyale, ma ritenne disonorevole interrompere l'attacco già iniziato.
Il forte Sant'Elmo era difeso da circa 100 cavalieri e 500 miliziani ai quali la Valette aveva ordinato di lottare fino alla fine, cercando di resistere fino a quando non sarebbero arrivati i rinforzi promessi da García Álvarez de Toledo y Osorio, viceré di Sicilia.
Il pesante bombardamento ridusse il forte in macerie in meno di una settimana, ma la Valette, e i cavalieri degli altri due forti, rimpiazzarono i feriti con truppe fresche e ripararono la fortezza di notte passando per un sentiero nascosto. Il forte, nonostante gli incessanti bombardamenti, continuò a resistere con i cavalieri annidati tra le macerie.
La mattina del 3 giugno i giannizzeri scagliarono un attacco contro le mura, urlando e sparando all'impazzata anche favoriti dalle massicce dosi di hashish loro distribuite prima della battaglia. Per scalare le mura vennero utilizzate scale e corde mentre i cavalieri rovesciarono il fuoco greco sugli assalitori che in pochi istanti si trasformarono in torce umane. I superstiti che raggiunsero la cima si trovarono davanti i cavalieri dell'ordine: uomini interamente ricoperti di ferro, armati di spade e lance, che avevano dedicato la loro vita all'addestramento militare e alla preghiera. Né i fendenti di scimitarra, né le frecce, penetrarono le corazze; solamente un colpo di archibugio sparato a bruciapelo poteva provocare danni, ma i turchi ne disponevano di pochi; infatti, a parte i giannizzeri, i soldati erano equipaggiati alla leggera e con indosso solamente un corpetto corazzato. A mezzogiorno i turchi si ritirarono lasciando sul campo 2.000 morti; i cavalieri che persero la vita in questo scontro furono solamente 10 mentre 70 furono le vittime tra i miliziani.
I bombardamenti continuarono per giorni, alternati da massicci assalti dei giannizzeri sempre respinti. I soldati dei rispettivi eserciti si massacrarono a vicenda, convinti che se la morte li avesse colti durante la battaglia avrebbero ottenuto la ricompensa: agli ottomani era promesso il paradiso delle Huri, ai cavalieri era concessa l'indulgenza plenaria da Papa Paolo IV.
L'8 giugno i cavalieri, stremati dagli incessanti bombardamenti (6.000 palle di cannone sparate al giorno), inviarono un messaggio al Gran Maestro, in cui si chiedeva l'autorizzazione a morire con la spada in pugno facendo una sortita nel campo nemico. In risposta, il Gran Maestro disse che se i Cavalieri dovevano morire allora era meglio che morissero nel modo in cui lui aveva ordinato: «sacrificando le nostre vite una ad una, faremo guadagnare tempo all'Europa e alla Cristianità». Anche se ridotta allo stremo, la guarnigione resistette, respingendo numerosi assalti del nemico e ritardando la caduta della fortezza.
Il 18 giugno Sant'Elmo era ormai un cumulo di macerie.
Mustafà e Dragut si spinsero su una collina per assistere all'ennesimo assalto. Ma quel giorno accadde l'imprevedibile. L'artigliere piemontese Antonio Grugno, attirato dalle bandiere dai colori sgargianti dei due comandanti, prese il suo cannone, mirò e fece fuoco su di loro. La palla di cannone centrò in pieno il comandante dei giannizzeri e una scheggia si infilò nell'occhio destro di Dragut.
Il vecchio pirata morìà cinque giorni dopo, appena saputa la notizia della caduta del forte.
Il 23 giugno i turchi riuscirono a prendere ciò che era rimasto del forte di Sant'Elmo, vendicandosi sui prigionieri: massacrarono i cavalieri catturati, crocifissero i loro corpi a tavole di legno e li spinsero sulle acque del porto verso le posizioni dei cavalieri piazzati negli altri due forti. La Valette ordinò una risposta dello stesso tenore: tutti i prigionieri turchi furono decapitati e le loro teste sparate dai cannoni verso il campo nemico.
Ora che i turchi avevano vinto, la flotta di Piyale gettò l'ancora nel porto. L'assedio del forte Sant'Elmo per la parte turca non ebbe meno di 6.000 vittime, tra cui la metà dei suoi migliori soldati, i giannizzeri. Piyale stesso era stato ferito alla testa. Mustafà comprese il suo errore strategico, il forte Sant'Elmo era stato conquistato ad un prezzo troppo caro. Guardando verso il forte Sant'Angelo ancora intatto con i cannoni tuonanti, gridò: «Allah! Se un figlio così piccolo è costato tanto caro, quale prezzo dovremo pagare per un padre così grande?».
Intanto la notizia dell'assedio si era diffusa nel continente provocando il panico. Non vi era alcun dubbio che il risultato dell'assedio di Malta sarebbe stato drammatico e che il suo esito avrebbe potuto decidere la lotta tra l'Impero ottomano e l'Europa cristiana. Una volta presa l'isola, i turchi avrebbero invaso l'Italia da sud pur continuando la conquista dell'Ungheria e della penisola balcanica: l'Europa occidentale si sarebbe ritrovata in una morsa letale.
Filippo, nonostante le suppliche e le minacce di Papa Paolo IV, sembrava completamente assorto dai propri impegni in terra britannica ed oltre oceano.
Per questo motivo il genovese Gianandrea Doria venne posto a capo di una spedizione di salvataggio, il "Gran Soccorso", che comprendeva galee di tutti gli stati mediterranei ad eccezione di Francia e Venezia, che non parteciparono per paura di guastare i loro rapporti commerciali e politici con l'Impero ottomano, e della Spagna.
Inoltre, Filippo II ordinò esplicitamente al viceré di Sicilia, García Álvarez de Toledo y Osorio, di non impegnare le sue galee: il ricordo della sconfitta a Gerba era ancora vivo nel "Re prudente".
Tuttavia García era angosciato da un terribile dilemma: il suo spirito di soldato lo spingeva a partire immediatamente con le sue galee alla volta di Malta (anche perché suo figlio militava tra le truppe maltesi), ma gli ordini di Madrid lo trattenevano.
Così alcuni ardimentosi cominciarono a violare il blocco navale turco per portare viveri e rinforzi agli assediati. In pieno giorno, una barca a remi diretta verso il Gran Porto fu colpita da una cannonata turca ed un comandante dell'Ordine, un tale Salvago, ed il capitano spagnolo Miranda, raggiunsero la costa a nuoto e si unirono agli assediati. In un'altra occasione una galera siciliana riuscì a scappare da sette galee nemiche mentre cercava di approdare.
Un rinforzo di 600 uomini comandati da Enrique de la Valette, nipote del Gran Maestro, non riuscì a raggiungere la costa e fu costretta a fuggire. Dopo altri due tentativi falliti, il 28 giugno raggiunse Malta un consistente numero di rinforzi: circa 600 uomini su quattro galere sotto il comando di Juan de Cardona, inviate dal viceré di Sicilia. Ciò provocò un enorme aumento del morale. Questa piccola guarnigione comprese una compagnia spagnola d'élite, 150 cavalieri e molti volontari, inclusi i fratelli del duca di Infantado e il Conte di Monteagudo, comandati da don Melchor de Robles. Il successo si deve ad un singolo soldato, Juan Martinez di Luvenia, che appena sbarcato si occupò di segnalare la presenza o l'assenza delle navi nemiche con un falò.
Infine partecipò ai rinforzi anche il Ducato di Savoia che organizzò una spedizione, chiamata "Piccolo Soccorso", guidata dal genovese Andrea Provana di Leinì. Il gruppetto di galee riuscì avventurosamente a superare il blocco navale e a sbarcare un gruppo di volontari e alcune casse di viveri prima di riprendere il largo.
Con Piyale ferito, Mustafà suddivise le forze in tre gruppi: uno avrebbe attaccato Birgu e Medina (i due borghi dell'isola), e gli altri due i forti rimanenti. Furono costruite 100 piccole imbarcazioni nel Gran Porto, con l'intenzione di lanciare un attacco anfibio contro il promontorio di Senglea, mentre i pirati attaccavano il forte San Michele. Fortunatamente per i maltesi, un disertore turco mise in guardia la Valette dell'imminente operazione ed il Gran Maestro ebbe il tempo di costruire un recinto e sbarramenti sottomarini. L'attacco ebbe luogo il 15 luglio: alcune navi turche si schiantarono contro le palizzate mentre altre finirono intrappolate nelle catene disseminate lungo la riva. Quando i turchi tentarono di distruggere le difese in mare furono aggrediti dai nuotatori maltesi che ingaggiarono un violento corpo a corpo. Quel giorno non furono fatti prigionieri e ai turchi che si arresero venne tagliata la gola al grido di «Per vendicare Sant'Elmo!». Anche l'azione dei pirati fallì. Infatti una decina di vascelli carichi di gianizzeri arrivò a portata di una batteria di cannoni del comandante de Guiral, ai piedi del forte Sant'Angelo. Dopo poche salve nove barche affondarono trascinando con sé gli equipaggi.
Nel frattempo, i turchi avevano circondato Birgu e Medina e, con i loro 64 pezzi d'assedio, il 2 agosto le due città furono oggetto del più duro bombardamento che avesse mai avuto luogo nella storia.
Venne quindi lanciato il segnale d'attacco e gli assedianti si scagliarono contro ciò che rimaneva delle mura; lo scontro durò per sei ore ma alla fine furono respinti.
Il 7 agosto Mustafà ordinò due massicci attacchi simultanei contro forte San Miguel e contro la cittadella di Birgu. Mentre i turchi si avvicinarono alle mura, il Gran Maestro la Vallette decise di effettuare un'improvvisa sortita contro gli assedianti.
Il Gran Maestro si rivolse ai suoi uomini con queste parole: «Sono certo che se io cadrò, ciascuno di voi sarà in grado di prendere il mio posto e di continuare a combattere per l'onore dell'Ordine e per amore della nostra Santa Chiesa. Signori cavalieri. Andiamo a morire che è giunto il nostro giorno!»
I cavalieri piombarono nello schieramento turco interamente ricoperti di ferro, menando colpi con il pesante spadone a due mani provocando il caos nello schieramento avversario. Lo scontro infuriò per nove ore fin quando i turchi non si ritirarono. A questo punto Mustafà, pensando che i cavalieri avessero ricevuto rinforzi, decise che da quel momento in poi avrebbe affidato il compito di continuare l'assedio alle sue artiglierie.
Dopo l'attacco del 7 agosto i turchi ripresero, senza interruzione, il loro bombardamento contro San Michele e Birgu alternando sporadiche sortite di giannizzeri e spaihs dove si aprivano delle brecce nelle mura, come avvenne il 18 agosto quando una mina aprì una breccia nella quale si riversarono gli assedianti, costringendo lo stesso Gran Maestro ad intervenire gettandosi nella mischia. Il suo gesto fu d'esempio per i difensori che si precipitarono verso le mura dando vita ad un violento corpo a corpo. L'assalto fu respinto ma la Vallette rimase ferito ad una gamba da una granata.
Intanto a Messina la preparazione della flotta del Gran Soccorso andava per le lunghe. Il 26 agosto le navi cariche di volontari salparono ma furono subito costrette a tornare indietro a causa di una violenta tempesta. Ciò ritardò di molto le operazioni e la spedizione poté riprendere il largo solo il 5 settembre. Arrivarono nella baia di Mellieħa, tra Malta e Gozo, due giorni dopo. L'arrivo dei rinforzi fu il colpo di grazia per i turchi. Il combattimento decisivo avvenne sulla piana di Pietranera alla quale parteciparono anche i cavalieri usciti in massa dai forti. Dopo cinque ore di combattimento i turchi si ritirarono e s'imbarcarono sulle loro navi.
Il 12 settembre la flotta di Piyale lasciò l'isola; dovette però abbandonare parte delle navi, che furono date alle fiamme per non lasciarle al nemico: non vi erano più uomini sufficienti per manovrarle.
Le perdite registrate furono: 31.000 turchi, 7.000 civili maltesi, 3.000 tra fanti e Cavalieri dell'Ordine.
Quando la notizia della vittoria di Malta si diffuse nel continente, in tutte le chiese ci furono funzioni di ringraziamento. Giunsero a Malta doni da tutta Europa.
Filippo II inviò a Malta circa 6.000 uomini di rinforzo, un'ingente somma di denaro e regalò a la Vallette una spada e un pugnale con incise queste parole: PLUS QUAM VALOR VALET LA VALLETTE.
Ma ciò non sminuì minimamente l'alone di vergogna e vigliaccheria che il "Rey Catolico" si attirò da tutta Europa, per non aver inviato forze a difesa dell'ultimo baluardo della Cristianità.
Per giunta, il viceré d'Italia, don Garcia, fu destituito per aver disubbidito agli ordini.
Il Papa Pio IV offrì a la Vallette di diventare cardinale ma questi rifiutò: l'anziano cavaliere voleva vivere i suoi ultimi anni sulla sua isola. Egli infatti morì il 21 agosto 1568 e a lui fu dedicata la nuova capitale di Malta: La Valletta.
Per l'Impero ottomano, al contrario, la sconfitta di Malta fu un grave colpo anche sul piano finanziario, poiché l'economia turca si reggeva principalmente sulle razzie e sul bottino di guerra: per la prima volta la loro moneta fu svalutata, e i turchi conobbero l'inflazione. Meno di un terzo dell'esercito ritornò a Costantinopoli e la flotta fu guidata nel porto in piena notte per evitare che il popolo si rendesse conto dei danni subiti. Solimano intendeva ripetere l'attacco l'anno successivo e questa volta Malta, ormai semidistrutta, non avrebbe potuto resistere.
Ma durante l'inverno, agenti segreti dell'Ordine di Malta, riuscirono ad entrare nell'arsenale di Istanbul e a far esplodere il deposito delle polveri, distruggendo parte della flotta turca che era ormeggiata nei bacini. Il sultano cambiò i suoi piani e per il 1566 progettò di dirigere nuovamente i suoi sforzi bellici verso l'Ungheria.
[Modificato da Xostantinou 26/04/2011 14:56]



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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”