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Ultimo Aggiornamento: 13/09/2012 19:57
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Patrikios
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων
Βασιλεύς Πορφυρογέννητος Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
13/09/2012 19:57
 
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Come si evince dal tuo discorso, Glauco, quello che vediamo è un delicatissimo gioco di incastri ed equilibri che non può dare altro che peggioramenti per entrambe le parti in causa (lavoratore ed azienda) se si vanno a toccare questi parametri senza prima mettere mano all'unico vero parametro che decide tutto, ovvero la pressione fiscale determinata dallo Stato.

La pressione fiscale è il "motore immobile" sul quale si regge tutto questo sistema.

Questo sistema è un equilibrio maledetto di costi, diretti ed indiretti, per l'azienda, e di potere d'acquisto del salario del dipendente.

L'azienda deve sostenere spese dettate da un'infinità di voci, dalle materie prime/prodotti che usa, all'energia ed alle apparecchiature, al marketing, ai servizi accessori (come il commercialista o l'avvocato), all'infinità di tasse e gabelle poste dallo Stato.
Il costo del lavoro è quindi per l'azienda solo una delle innumerevoli voci di spesa, a fronte delle entrate che sono una voce unica e, tolte ancora una volta le tasse, devono andare a coprire tutte le voci precedentemente elencate, avanzando un utile.
Il lavoratore, quando riceve la busta paga, questa è già "netta", visto che le detrazioni vengono già fatte dallo Stato attraverso l'imprenditore (vedasi ad es. i contributi previdenziali).
La principale lamentela del lavoratore è quindi quella della cifra ricevuta come compenso troppo esigua per affrontare il costo della vita.

Ciò che, in questo paese, si fa troppo spesso finta di non vedere, è che anche l'imprenditore ha le stesse esigenze (offrire una vita dignitosa alla famiglia) ma, IN PIU', è suo onere economico anche la gestione dell'impresa, con tutti i costi citati sopra.
A meno che non si parli di grossi colossi come società per azioni et similia, quindi entità spersonalizzate, l'azienda coincide con il bilancio privato dell'imprenditore o della sua famiglia, ovverosia significa che l'imprenditore non percepisce mai una quota fissa e garantita ogni mese, bensì i suoi guadagni oscillano come quelli della sua azienda, perché quelli stessi sono.
Se per un periodo l'azienda va in perdita, non è come l'operaio che continua lo stesso a percepire la sua mensilità stabilita da contratto, bensì l'imprenditore PERDE soldi che deve prelevare dal PROPRIO conto in banca per saldare i conti e non fallire.

In italia va molto di moda, soprattutto tra i lavoratori dipendenti ed i loro sindacati, l'immagine mitizzata del "padrone capitalista che si arricchisce sulle spalle dei lavoratori", ignorando però che, soprattutto nella realtà lavorativa del bel paese, le cose non sono affatto così, visto che il 90% delle imprese italiane sono costituite da piccole e medie imprese e da lavoro autonomo/artigiano.

Va però detto, per amor del vero, che nei confronti imprenditoria-sindacato italiani, l'unico interlocutore ritenuto "degno" è proprio quella Confindustria che rappresenta quel 10% di grande industria spersonalizzata.

Quindi è ovvio anche che le lotte sindacali in questo ambito siano inutili, visto che NON migliorano la posizione del 90% del mondo del lavoro italiano e si accaniscono contro quella piccola nicchia di grandi colossi industriali i quali, in questo mondo globalizzato, sono infinitamente più potenti dei sindacati nazionali e possiedono sempre l'arma di ricatto della delocalizzazione.



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Κωνσταντίνος ΙΑ’ Δραγάσης Παλαιολόγος,
Xρoνoκράτoρ και Koσμoκράτoρ
Ελέω Θεού Βασιλευς και Αυτοκράτορ των Ρωμαίων.





"Ci sono quattro grandi cause per cui vale la pena di morire: la Fede, la Patria, la Famiglia ed il Basileus. Ora voi dovete essere pronti a sacrificare la propria vita per queste cose, come d'altronde anch'io sono pronto al sacrifico della mia stessa vita.
So che l'ora è giunta, che il nemico della nostra fede ci minaccia con ogni mezzo...Affido a voi, al vostro valore, questa splendida e celebre città, patria nostra, regina d'ogni altra.
Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle nostre mani."

"Ed allora questo principe, degno dell'immortalità, si tolse le insegne imperiali e le gettò via e, come se fosse un semplice privato, con la spada in pugno si gettò nella mischia. Mentre combatteva valorosamente per non morire invendicato, fu infine ucciso e confuse il proprio corpo regale con le rovine della città e la caduta del suo regno.
Il mio signore e imperatore, di felice memoria, il signore Costantino, cadde ucciso, mentre io mi trovavo in quel momento non vicino a lui, ma in altra parte della città, per ordine suo, per compiervi un'ispezione: ahimè ahimè!."

"La sede dell'Impero Romano è Costantinopoli e colui che è e rimane Imperatore dei Romani è anche l'Imperatore di tutta la Terra."

"Re, io mi desterò dal mio sonno marmoreo,
E dal mio sepolcro mistico io ritornerò
Per spalancare la murata porta d'Oro;
E, vittorioso sopra i Califfi e gli Zar,
Dopo averli ricacciati oltre l'Albero della Mela Rossa,
Cercherò riposo sui miei antichi confini."

"Un Costantino la fondò, un Costantino la perse ed un Costantino la riprenderà”


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